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Autore: Luigi Mariani

L’origine degli Etruschi

La cultura etrusca è documentata nel Centro Italia dall’8° al 1° sec. a.C. e gli storici hanno spesso evidenziato la rapida affermazione di tale popolo nel contesto dei popoli italici così come la rapida scomparsa delle tracce della loro cultura a seguito dell’affermarsi delle egemonia romana1.

 

Più nello specifico, rispetto agli antichi Etruschi esistono oggi due problemi storiografici aperti e che il lavoro oggetto di questo commento affronta con i metodi della genetica:

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  1. In figura – Distanze genetiche fra etruschi e popolazioni moderne. []
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Che fatica misurare gli effetti degli elevati livelli di CO2 sulla crescita dei vegetali: il caso delle OTC e delle FACE

Uno dei problemi più stringenti per i ricercatori sperimentali moderni è quello di ottenere misure che siano rappresentative del sistema fisico o biologico oggetto d’indagine. Tale problema rimanda a sua volta alla necessità di evitare gli effetti negativi introdotti dagli apparati di misura o di distribuzione di particolari sostanze o ancora di disporre di apparati in grado di effettuare misure realistiche delle variabili in gioco.

In genere ogni problema scientifico ha i suoi problemi di misura più o meno grandi ed in alcuni casi i problemi si sono rivelati tanto stringenti da costringere i ricercatori a gettare la spugna (si veda in proposito il principio di indeterminazione di Heisenberg del 1927).

 

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Performance dei vegetali coltivati e aumento della CO2 atmosferica

di Luigi Mariani

Ho l’impressione che se tutte le catastrofi che si sono paventate nell’ultimo dopoguerra si fossero realizzate il mondo sarebbe già sparito da tempo, per cui il fatto stesso che oggi siamo qui a scrivere avendo superato le piogge acide, l’olocausto nucleare, il cibo che uccide e ora la profezia dei Maya è senza dubbio da considerare un miracolo di resistenza umana.

Certo, la prima notizia tranquillizzante risiede nel fatto che la vita media delle nostre popolazioni sia in continuo aumento e che la stessa qualità della vita sia migliorata in modo abissale. Io ho 55 anni e sono nato nel 1957 in un paese del piacentino, Rivergaro, non molto diverso da tanti altri paesi della nostra dolce Italia. Quand’ero piccolo mi ricordo vecchi (e mi riferisco a persone di 60-70 anni) che erano veramente vecchi, cioè con tutti i sintomi di decrepitezza indotta dalle fatiche di una vita passata al freddo, mangiando quel che capitava e con un’assistenza medica che lasciava alquanto a desiderare. Io sono nato in casa e la levatrice si era dimenticata la forbice, per cui ho rischiato di lasciarci le penne per il fatto che avevo il cordone ombelicale avvolto attorno al collo per cui la vita la devo al medico condotto dottor Negri che è intervenuto risolvendo la cosa in modo magari poco democratico ma oltremodo efficace. L’acqua non arrivava in casa (ci si arrangiava alla fontanella) e il riscaldamento invernale era quel che era, per cui le malattie da raffreddamento picchiavano duro.

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Relazione fra CO2 atmosferica e temperature globali. Un lavoro di Humlum analizza le ciclicità poliennali di breve periodo

di Luigi Mariani

Il professor Humlum è un geografo dell’università di Oslo che si occupa da tempo di climatologia ed è noto al pubblico degli appassionati come gestore del sito www.climate4you.com. Ora Humlum, con due colleghi, ha pubblicato sulla rivista scientifica Global and planetary change un articolo in cui analizza la variabilità dei livelli di CO2 atmosferica nel periodo 1981-2011 ponendola in relazione con le temperature globali con lo scopo di indagare in modo empirico le relazioni di causa-effetto esistenti (Humlum et al., 2012).

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Anatomia di una notizia seria e di come la stessa sia stata deformata da una testata di divulgazione scientifica

di Luigi Mariani

Il caffè arabica (Coffea arabica L.) costituisce il 62% circa della produzione mondale di caffè, il resto essendo rappresentato dal suo parente prossimo caffè robusta (Coffea canephora Pierre ex A.Froehner). Della produzione mondiale di arabica l’85% è di origine sudamericana (di cui Brasile=39%, Columbia=18%) mentre solo il 10% è di origine africana ed il 5% di origine asiatica (info qui). Il centro genetico del caffè arabica si colloca sugli altipiani dell’Africa equatoriale orientale (soprattutto Etiopia e Kenya), ove è ancor oggi diffuso il progenitore selvatico delle varietà coltivate.

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Malaria e global warming

di Luigi Mariani e Gianni Gilioli

Un giornale radio RAI ha trasmesso nei giorni scorso un’intervista di maniera in tema di GW che verteva  sul rapporto tra Gobal Warming (GW) e salute umana. L’intervistato, alla richiesta del giornalista di fare un esempio su fattori che producessero aumenti di mortalità, ha portato l’esempio della malaria che all’aumentare delle temperature nella fascia intertropicale (fra 30°N e 30°S) dovrebbe manifestare una recrudescenza colpendo un numero sempre maggiore di persone.

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Le nevi del Kilimangiaro

di Luigi Mariani

Le “nevi del Kilimangiaro” affascinano l’uomo moderno perlomeno da quando Ernest Hemingway scrisse l’omonima novella.

Un ritorno di fiamma dell’interesse verso questo remoto ghiacciaio tropicale si ebbe undici anni orsono grazie all’affermazione del geofisico Lonnie Thompson (2001) il quale disse che “è probabile che fra vent’anni il solo pezzo di ghiaccio del Kilimangiaro rimasto al mondo sarà nei nostri frigoriferi”  (qui trovate una biografia di Thompson).

Questo coup de theatre, peraltro citato da Gore nel suo Inconvenient truth, ha avuto un tale successo da fare dei ghiacci dei grandi vulcani africani o del Kilimangiario delle icone degli ecologisti e dei simboli del global warming.

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Agricoltura Biologica e lotta al Global Warming

Sull’ultimo numero della rivista agricola online Teatro naturale esce un articolo che vi invito a leggere di cui di cui si riporta qui di seguito l’incipit:

[info]

L’agricoltura biologica può contribuire significativamente all’accumulo di riserve di carbonio organico nel suolo, così limitando il riscaldamento climatico globale.

Secondo uno studio svizzero, condotto da Andreas Gattinger, e che si basa sui set di dati provenienti da 74 diverse sperimentazioni, i terreni coltivati in regime biologico sarebbero in grado di accumulare 3,5 tonnellate ad ettaro in più di carbonio organico nel suolo, con un tasso di sequestro di 0,45 tonnellate/ettaro/anno, in più rispetto alle coltivazioni tradizionali.

[/info]

In termini generali mi viene spontaneo dire che il sonno delle ragione genera mostri1 e che in campo agricolo i più emblematici “mostri” partoriti negli ultimi decenni si chiamano “agricoltura biologica” e “agricoltura biodinamica”, e mi spiego.

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  1. o, per dirla con Karl Marx, la “religione” – da intendere qui come “ideologia” – è l’oppio dei popoli. []
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Stima delle Temperature Medie Annue in Val Padana durante l’Optimum Medioevale

Premessa e metodi

Questo post riassume una serie di conclusioni a cui ero pervenuto nel 2010 in collaborazione con il professor Crescenti (Crescenti e Mariani, 2010) a partire dai seguenti dati di tipo paleobotanico o provenienti da fonti documentali.

  1. Giuseppe Berruti (1998), citando documenti d’archivio, formula l’ipotesi secondo cui  nella fase calda medievale si coltivasse olivo da olio a Monno, a 1066 msm. Lo stesso Berruti (1998) scrive che l’alpeggio in Val Camonica fino al 1500 aveva inizio circa 60 giorni prima di oggi.
  2. Lamb (1966) riporta che nel medioevo la viticoltura britannica raggiungeva 53° di latitudine Nord (East Anglia) e quella tedesca i 55° di latitudine Nord (Prussia Orientale).
  3. Monterin (1937) ci indica la presenza della coltura della vite durante il medioevo a San Valentino sopra Brusson, in Val d’Aosta e fornisce importanti indicazioni sul limite della vegetazione arborea nel medioevo.

Questo ci dicono alcune fonti.

Ora ci si domanda se sia possibile tramutare le suddette testimonianze storiche o i reperti paleobotanici in indicazioni quantitative, il che costituirebbe un obiettivo importante in sede di climatologia storica.

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Siccità d’Egitto

Venerdì 24 agosto sono incappato per ben due volte in notizie giornalistiche a sfondo catastrofico basate sull’articolo di Bernhardt et al., 2012 “Nile Delta vegetation response to Holocene climate variability”, pubblicato nel luglio scorso sulla rivista Geology.

La prima  era una notizia di coda del Giornale Radio RAI delle ore 6  (qui dal minuto 08:55) che gossomodo diceva quanto segue: La civiltà egizia delle piramidi fu distrutta da una grande siccità accaduta circa 4000 anni orsono. Questa notizia è una magra consolazione di fronte al caldo di quest’estate…  -> in sostanza mi è parso che in modo non particolarmente elegante si volesse dare ad intendere che anche noi stiamo per fare la fine degli egizi (forse ero troppo addormentato per capire ma ad ogni buon conto ho subito toccato ferro…).

La seconda è l’articolo apparso venerdì stesso a pagina 29 del Corriere della sera a firma di Giovanni Caprara (a cui evidentemente si erano ispirati i giornalisti RAI per il loro “scoop”) dall’eloquente titolo “Il mito distrutto dal clima. Fu un improvviso caldo torrido a far crollare il regno egizio. Così finì il tempo delle piramidi”.

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Scienza e ortodossia

In altra parte di CM ho presentato il commento ad un lavoro di Higgins e Scheiter (H&S) pubblicato qualche giorno orsono su Nature. La lettura di tale lavoro e di un precedente lavoro degli autori stessi, uscito nel 2009 su Global Change Biology, si presta ad alcune considerazioni di tipo sociologico che, al fine di evitare commistioni in sede di dibattito, ho preferito affrontare in una sede indipendente.

Per sviluppare le mie considerazioni partirò dall’abstract dell’articolo di Nature, il quale inizia con un drastico “Recent IPCC projections suggest that Africa will be subject to particularly severe changes in atmospheric conditions”. L’ introduzione all’articolo stesso si apre poi dal canto suo con un bel “Many studies have shown that the climatic conditions under which plants grow are changing (IPCC, 2007). Three major determinants of plant growth, the atmospheric CO2 concentration, rainfall and temperature have changed significantly since the preindustrial time and current projections obtained from simulation models predict further changes in these climate variables (IPCC, 2007).”.

Infine l’articolo si conclude con la frase seguente:“This study, together with palaeoecological evidence , suggest that atmospheric CO2 has been and will be a major factor shaping vegetation change”.

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Nel 2100 un’Africa con più boschi, più praterie e meno deserti…e tutto per merito della CO2

La letter di Higgins e Scheiter (che d’ora in avanti chiameremo per comodità H&S) pubblicata qualche giorno orsono su Nature

Atmospheric CO2 forces abrupt vegetation shifts locally, but not globally”, Nature, doi:10.1038/nature11238

è ricca di spunti interessanti e che giustificano il commento che su sollecitazione di Guido mi sono deciso a scrivere.

H&S descrivono infatti il comportamento passato e futuro (dal 1850 al 2100) della vegetazione africana utilizzando un modello di simulazione dinamico, l’aDGVM (adaptive Dynamic Global Vegetation Model) fatto girare sia su dati pregressi sia su dati previsti ottenuti applicando il modello climatico GCM ECHAM5 allo scenario emissivo A1B dell’IPCC.

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La coltivazione dell’Olivo nel Ducato di Parma e Piacenza durante la PEG

Il capitano Antonio Boccia (nato nel 1741 in Spagna da famiglia del ducato di Parma, appassionato studioso di scienze naturali, geologia e chimica) visitò all’inizio dell’ottocento l’areale montano dei territori di Parma e Piacenza con un viaggio durato un biennio e di cui redasse un resoconto dal titolo “Viaggio ai monti di Parma e Piacenza” conservato nella biblioteca palatina di Parma e la cui parte dedicata ai monti del piacentino è stata recentemente e per la prima volta pubblicata dalla tipografia editoriale piacentina Gallarati.

Mi sono deciso a scrivere questa nota perché il testo di Boccia (che in questi giorni ho la fortuna di poter leggere) è ricchissimo di informazioni socio-economiche, geologiche e sull’uso del suolo. E proprio dall’uso del suolo si ricava un‘interessante informazione. Ma lasciamo parlare il Boccia che così descrive la valle del torrente Ongina:

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