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Autore: Guido Guidi

Proiezioni climatiche, esercizio di stile o pubblica utilità?

Non credo ci sia bisogno di puntualizzare che i nostri non sono tempi di vacche grasse, anzi, a pensarci bene non lo erano neanche i tempi dei nostri padri. Allora le vacche erano però mostrate con la lente di ingrandimento e ora ne paghiamo le spese. E’ però anche innegabile che ci siano state in un modo o nell’altro molte più risorse disponibili, almeno sulla carta, per tentare policy azzardate o per inseguire autentiche utopie. Tempi in cui, per esempio e si parla di appena cinque anni fa, si poteva immaginare di porre in essere un processo di decarbonizzazione dei nostri sistemi economici e produttivi che maerciasse ad una velocità improponibile.

 

Del resto, si diceva, le proiezioni parlano chiaro, non solo per il lungo periodo ma anche per quello medio e breve. I danni inferti al sistema pianeta, in primis quelli climatici – e già qui c’è stato un inopportuno sorpasso a danno di quelli ambientali – sono tali da rendere indispensabile un’azione immediata e corale. Giù le emissioni dunque.

 

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Non tutti i mali vengono per nuocere

Il titolo di questo post avrebbe anche potuto essere “Caldo è bello”, ma qualcuno avrebbe potuto pensare che avessi preso un colpo di sole. Anche perché è fresco di stampa un paper su Environmental Research Letters in cui lasciando andare a briglia sciolta i soliti modelli climatici e i soliti scenari di emissione si prospettano ondate di calore di intensità eccedenti da 3 a 5 volte oltre la normale variabilità delle temperature per le decadi a venire (qui su Science Daily per il riassunto). Ma non è questo l’argomento di oggi o, meglio, non lo è direttamente.

 

Prendendo spunto anche dall’ultimo editoriale di Giovanni Sartori uscito sul Corriere della Sera, pezzo che abbiamo sommariamente commentato appena qualche giorno fa, oggi parliamo di risorse idriche e dell’impatto che su queste potrebbero avere potenzialmente la crescita demografica, le emissioni di CO2 e i cambiamenti climatici. Per certi aspetti, anche su questi argomenti siamo freschi di commento, avendo recentemente parlato di uno studio secondo il quale la diminuzione di massa dei ghiacciai dei due principali bacini dell’Himalaya e l’aumento delle precipitazioni che si prospettano sulla stessa area in ragione dei cambiamenti climatici dovrebbero elidersi a vicenda rislutando in una disponibilità idrica pressoché invariata per le popolazioni di quell’area.

 

Ma, per quel che abbiamo letto in quello studio, il fattore popolazione, ovvero l’aumento della stessa, non era tra le variabili esaminate, né lo era l’effetto diretto dell’accrescimento della CO2 sull’uso che le piante fanno delle risorse idriche. Questo differente punto di vista è invece l’oggetto di un altro studio ancora, redatto a cura di ricercatori dello UK met Office, in cui si cerca appunto di prendere in esame tutti i fattori in gioco. Naturalmente, anche in questo caso, si parla di diritti esclusivi delle tecniche di simulazione delle dinamiche del clima, per cui, pinze alla mano per non scottarsi, cerchiamo di capire di che si tratta.

 

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Se n’è accorto pure lui!

Puntuale come un orologio, anche questo ferragosto ha avuto il suo editoriale di Giovanni Sartori sul Corriere della Sera. Incredibile a dirsi, anche la penna dai toni più scuri che il panorama giornalistico italiano possieda, si è accorta che la temperatura media del pianeta ha smesso di salire. La citazione è d’obbligo, riga terza:

 

[…] La buona notizia è che a detta dei climatologi il riscaldamento del nostro pianeta sembra che si sia fermato.

 

Attenzione però, trattandosi di potenziale buona notizia alcuni caveat sono d’obbligo per chi normalmente presagisce sfracelli, è un fatto fisiologico. E così scopriamo che le “previsioni sul clima non sono mai certe” (anche questa è una buona notizia in verità) e che comunque prima o poi farà di nuovo tanto caldo, ma nel frattempo la Natura potrebbe metterci del suo.

 

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Radon relata refero

Il post di oggi è per me fuori tema, però ci è capitato di affrontare lo stesso argomento in molte altre occasioni, perciò penso che quanto segue possa essere di interesse per i nostri lettori. Si tratta del terremoto dell’Aquila dell’aprile 2009. Nei giorni scorsi è circolata (Repubblica e Corriere, per esempio) la notizia che un team di ricercatori dell’INGV ha pubblicato su Environmental Earth Sciences i risultati di uno studio effettuato sulle variazioni della concentrazione di radon nel mese precedente il sisma del 4 aprile.

 
Observations and box model analysis of radon-222 in the atmospheric surface layer at L’Aquila, Italy: March 2009 case study

 

L’articolo rende conto di un’analisi eseguita sia su dati simulati, ovvero con l’impiego di un modello messo a punto e validato con osservazioni risalenti al biennio 2004-2006, sia su osservazioni vere e proprie effettuate nel marzo del 2009. In entrambi i casi, contrariamente a quanto annunciato nei mesi dello sciame sismico culminato con l’evento distruttivo del 4 aprile, non è stata riscontrata alcuna significativa variazione positiva della concentrazione di radon al livello atmosferico superficiale, anzi, in realtà nelle osservazioni è stata riscontrata una diminuzione del 30% della concentrazione di radon, mentre nelle simulazioni la diminuzione si è fermata al 17%, conformando comunque l’approccio simulato a quello reale.

 

 

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C’è del marcio in Danimarca

Ma che curiosa analogia! La citazione originale dall’Amleto di Shakespeare recita così: “Something is rotten in the state of Denmark”. L’autore all’epoca si riferiva a fatti politici del Regno di Danimarca, ovviamente, ma l’uso del termine “rotten” coincide con l’aggettivo con cui negli ultimi anni è stato definito il ghiaccio artico. Letteralmente si dovrebbe tradurre con “marcio”, che nella fattispecie del ghiaccio indica instabilità piuttosto che compattezza e quindi indebolimento con grande predisposizione allo scioglimento. Ma possiamo andare oltre con il maltrattamento della citazione di Shakespeare. In Danimarca pare ci sia anche del marcio tra quanti si occupano di studiare le dinamiche del ghiaccio stesso. Il rappresentante generico medio del mainstream scientifico, convinto che il ghiaccio marino del Polo Nord sia ormai in una spirale di morte e che questo sia in larga misura da attribuire al contributo antropico alle dinamiche del clima, non esiterebbe a definire rotten quello che abbiamo scovato. Ancora una volta però il marcio si annida in ambienti istituzionali, addirittura nel DMI, il Danish Meteorological Institute, al quale vada come vada, è davvero difficile attribuire un conflitto di interessi con le multinazionali del petrolio.

 

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Sud est asiatico, un clima assetato di certezze

All’inizio della settimana scorsa, partendo da uno spunto piuttosto casuale, siano tornati a parlare del rischio che si corre basando le policy su ipotesi non verificate che quando queste ultime si rivelano errate. Nei prossimi mesi con una cadenza che sarà attentamente studiata in termini di efficacia della comunicazione, saranno pubblicate le varie parti del nuovo report dell’IPCC, il quinto. E’ qualcosa che abbiamo già visto, molti ricorderanno infatti che nel 2007 sono usciti via via i summary for policy makers delle tre parti del 4AR e poi è uscito il report per intero.

 

Sebbene quelli che contano siano gli approfondimenti scientifici contenuti nel corpo del volume, è chiaro che la maggior parte degli interessati leggeranno soprattutto, ove non esclusivamente i sommari per i decisori, quelli con i numeri più significativi e con le immagini più esplicative. Per esempio come i numeri e le immagini che nel 4AR furono dedicate alla trattazione dell’impatto dei cambiamenti climatici sui ghiacciai dell’Himalaya, dati per defunti nel 2035 e successivamente resuscitati almeno fino al 2350 in quella che si è rivelata essere una dei più terribili passi falsi in cui si è imbattuto il panel ONU per i cambiamenti climatici. Ad uno scioglimento repentino dei ghiacci dell’Himalaya, si associavano infatti vari presagi di sventura per le popolazioni dell’area la cui disponibilità idrica è strettamente legata proprio alle dinamiche dei ghiacciai. Da notare, inoltre, che le proiezioni dell’IPCC andavano nella direzione di una drastica riduzione della portata dei fiumi successiva allo scioglimento pur in un contesto generale di tendenza all’aumento delle precipitazioni. Di per se questo già introduceva all’epoca qualche dubbio circa l’affidabilità di queste proiezioni, sebbene il tutto sia stato poi sovrastato dalla querelle sorta intorno all’errore più marchiano, appunto quello relativo al periodo in cui tutto ciò sarebbe dovuto accadere.

 

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Pensieri (e azioni) razionali

I miei normalmente non appartengono alla categoria. Lo stesso non posso dire dei numerosi commenti dei lettori che partecipano alle nostre discussioni, specie quando attraverso la leva del dibattito climatico, arriviamo a parlare di argomenti più ampi e di più facile accesso per il sentire comune, opinioni cioè per le quali non è necessario avere una preparazione tecnica, ma bastano occhi per vedere e buon senso.

 

Appunto il buon senso con cui Morgan Brazilian e Roger Pielke jr affrontano un argomento decisamente topico in un articolo uscito fresco fresco su Science & Tecnology:

 

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Diritto di replica e tanta pazienza

Qualche giorno fa abbiamo discusso dello ‘scambio di battute’ avvenuto su WUWT tra Nicola Scafetta e Willis Eschenbach. I nostri lettori hanno fatto i loro commenti ed espresso le loro opinioni. Ora, com’è giusto che sia, Nicola dice la propria riguardo i contenuti dello scambio e noi lo ospitiamo più che volentieri. Per chi volesse, qui c’è la versione in inglese del testo che segue.

gg

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Su climatemonitor c’e’ stata una interessante discussione “Il click della domenica“.

Guido ha voluto affrontare un tema importante, cioe’ la critica che Willis Eschenbach ha fatto al mio lavoro su WUWT. La critica poggia su due punti principali:

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Gli interessi sono tutti uguali, ma qualcuno è più uguale degli altri

Chi scrive è un quasi fanatico della apple. Non possiedo ancora un Mac solo perché il mio portatile fa ancora il suo mestiere. Ho l’Ipad…

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