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Autore: Guido Guidi

Tempi di deficit, anche nel clima

Qualche giorno fa, girovagando come al solito per il web, sono ‘atterrato’ sul blog di Judith Curry, dove ho trovato un post curioso e credo anche interessante, che fornisce delle informazioni insolite, del tipo che ti fa pensare “ma perché non ci hanno pensato prima?”

 

Ve le riassumo, forse potrà essere utile condividerle con i lettori di CM.

 

Come abbiamo letto, scritto e discusso tante volte, l’aumento della concentrazione di gas serra in atmosfera, si traduce nei modelli di simulazione climatica in un surplus di energia, cioè la Terra disperde nello spazio meno energia di quanta ne riceve dal Sole. Questo surplus, naturalmente, si è all’origine dell’aumento delle temperature medie superficiali globali. Dal momento che il sistema evolve in continuazione per ristabilire l’equilibrio, in ragione di questo aumento deve aumentare anche la quantità di energia dispersa verso lo spazio. Però, se lo sbilanciamento persiste e le temperature non aumentano, si pone il problema del cosiddetto ‘calore scomparso’, problema che ha portato il dibattito sul clima ad interrogarsi sul luogo dove questo sarebbe dovuto finire. Il candidato numero uno, forse per la semplice ragione che non c’è ancora la possibilità di andare a controllare e nonostante le poche osservazioni disponibili non confermino questa eventualità, è l’oceano profondo. I modelli di simulazione climatica, più nello specifico il modello della NASA, prevedono un aumento progressivo del surplus di energia, specie se accoppiato con lo scenario A1B dell’IPCC, quello più peggiorativo in termini di emissioni antropiche.

 

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E Ison fece la fine di Icaro

Niente da fare, nella migliore delle ipotesi quel che si potrà ‘vedere’ della cometa Ison dopo il suo passaggio vicino al sole sarà una nube di polveri cosmiche. L’avvicinamento è stato ovviamente fatale, il blocco di ghiaccio ha perso prima la testa e poi anche la coda.

 

Qui di seguito due belle animazioni delle ultime ore di vita di Ison:

 

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Sartori, clima che cambia e sovrappopolazione, ora è tutto chiaro

Domenica scorsa Luigi Mariani ha firmato un post su queste pagine per commentare l’ultimo editoriale di Giovanni Sartori uscito sul Corriere della Sera. Non proprio un commento elogiativo ça va sans dire. Se volete conoscerne i contenuti ecco titolo e link:

 

L’apocalisse di Sartori

 

A seguire, anche Fabio Spina ha detto la sua su La nuova Bussola Quotidiana, palesando parimenti un ‘certo disaccordo’ con le opinioni climatico-malthusian-demografiche del noto politologo:

 

Le folli idee del professor Sartori

 

Opinioni, sia quelle di Luigi che quelle di Fabio, che hanno trovato il consenso di quanti partecipano solitamente alle nostre discussioni. Volendo fare della statistica spannometrica, se consideriamo quei commenti un campione rappresentativo, dobbiamo pensare che i lettori di CM abbiano espresso in modo unanime un po’ di malsopportazione per quell’editoriale, forse anche perché il professor Sartori normalmente ci allieta con le sue opinioni sulle materie oggetto di questi commenti il 15 agosto di ogni anno, cascasse il mond…ehm, no, questo lo scriverebbe lui.

 

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Previsioni attendibili cercasi

Eccoci qua, con il Paese per metà alle prese con la neve e praticamente tutto intirizzito dal freddo. Un altro successone per le previsioni del tempo, quelle che non osano andare oltre la settimana, un altro bagno di sangue per quelle con cui si prova a guardare più lontano.

 

Un mesetto fa, ma anche meno, diciamo venti giorni, si tiravano le somme del mese di ottobre, un mese piuttosto caldo per il nostro territorio. Sull’onda emozionale di tanta calura sono state redatte da più parti delle previsioni per il mese di novembre con il metodo classico, quello della persistenza. Farà caldo pure a novembre e, perché no, anche per un bel pezzetto di dicembre. C’è da dire, tra l’altro, che anche i modelli più complessi lasciavano intravedere un periodo piuttosto mite. Anche chi scrive, naturalmente presso ambiti che non amo mescolare con le nostre discussioni, non ha fatto molto meglio. Magari non si sarà parlato di super-caldo, ma questa botta fredda, con pochissime eccezioni che magari approfondiremo in un altro momento, davvero non se l’aspettava nessuno.

 

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Le scatole cinesi

Lo avessimo fatto noi avrebbe dovuto chiamarsi diversamente, per esempio “il gioco delle tre carte”, tipica manovra con cui certi personaggi svelti di mano ti levano anche i pantaloni se hai l’istinto suicida di cimentarti al loro gioco.

 

Di che parliamo? Ma di riduzione delle emissioni naturalmente! In Europa, si sa, siamo campioni di masochismo. Complici un non meglio specificato senso di colpa per aver da tempo agganciato il treno del progresso e un certo socialismo dalla pancia piena strisciante, ci siamo dati degli obbiettivi di decarbonizzazione che non riusciremo a raggiungere, a meno che non persista in eterno la crisi economica, ma che grazie ai soli tentativi di centrare il bersaglio ci stanno già portando in bancarotta.

 

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Policy cooking

Mentre scrivo questo post la diciannovesima conferenza delle parti dell’UNFCCC sta per chiudere i battenti, quando il post sarà on line li avrà definitivamente chiusi. Si dice sia stata una conferenza stanca, più stanca delle 18 (!) che l’hanno preceduta. Non mi pare ci siano all’orizzonte decisioni rilevanti, anzi, forse non ci saranno proprio decisioni. L’evento più significativo, probabilmente, è stato il suggestivo abbandono delle trattative del gruppo dei ‘paesi deboli’, evidentemente insoddisfatti della piega che stavano prendendo le cose.

 

E così tra le roboanti dichiarazioni dei protagonisti prima e durante la conferenza, spicca probabilmente quanto segue, che dimostra quanto si tratti per lo più di chiacchiere che di sostanza, sia da parte dei leader politici che non perdono mai l’occasione di apparire nella veste di salvatori della patria in queste occasioni, sia da parte dei burocrati di altissimo livello che dettano l’agenda di questi eventi.

 

La ragione dell’abbandono della conferenza da parte dei ‘paesi deboli’ è infatti nell’assoluta indisponibilità da parte dei paesi ricchi a introdurre in un (naturalmente) prossimo accordo sulle policy climatiche da intraprendere, un meccanismo automatico di risarcimento per i danni causati dalle catastrofi naturali, come ad esempio quella recente nelle Filippine o, perché no, anche quella che ha riguardato il nostro territorio appena una settimana fa. In queste occasioni, si trova sempre qualche esperto, qualche politico o qualche semplice opinionista, disposto ad attrbuirne l’occorrenza al clima che cambia. Non importa che manchi sempre la spiegazione scientifica di questa o quella attribuzione. Non importa che gli stessi report IPCC dedicati alla materia (compreso l’ultimo) dicano chiaramente che né il singolo evento né le serie storiche degli stessi siano attribuibili al cambiamento climatico. Importa solo che chi parla sa che il pubblico su queste cose ha la memoria corta, per cui sono sempre dichiarazioni che pagano in termini di popolarità.

 

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A.A.A. Temperature dell’Artico offresi

Questo post avrebbe anche potuto avere un titolo diverso, tipo “Come cancellare la pausa del riscaldamento globale” o, “Come gridare vittoria in una partita che nessuno può vincere tranne il tempo”. Alla fine però ho optato per quello che leggete qui sopra, perché in effetti è quello che hanno fatto gli autori di una ricerca recentemente molto discussa nella blogosfera climatica, offrire al panorama scientifico una versione, ma sarebbe meglio dire visione, della temperatura media superficiale dell’area artica e, quindi, per contatto, anche del resto del pianeta. L’immagine è quella di un riscaldamento globale che non si sarebbe affatto fermato, né avrebbe rallentato, ma piuttosto avrebbe proseguito indisturbato e più decisivo che mai verso traguardi ignoti e pericolosi.

Lo studio è quello qui sotto.

 

Coverage bias in the HadCRUT4 temperature series and its impact on recent temperature trends Cowtan and Way 2013.

 

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Non tutti i modelli vengono per nuocere

Chiedo venia per il titolo, ma è volutamente provocatorio. Nessun modello di simulazione climatica viene per nuocere, semmai è l’uso che se ne fa o la fiducia in esso riposta a prescindere dall’incertezza e dalla possibilità di verifica che possono avere effetti sgraditi. Come quelli attuali, per esempio, con tutta la modellistica che prevede un riscaldamento sempre più accentuato per effetto delle attività umane e la realtà delle temperature medie del pianeta che ha un trend piatto da più di tre lustri.

 

Simulare però non sempre e non solo significa prevedere, quanto piuttosto, molto più realisticamente, deve significare testare, investigare, comparare quel che è accaduto con le modalità con cui si pensa che accada, cercando di individuare i meccanismi più importanti nella miriade di combinazioni che un sistema complesso come quello planetario rappresenta. Naturalmente, senza escludere quelli eventualmente connessi alle attività umane.

 

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Global warming catastrofico: scetticismo analitico e sociologico

Com’è stato il tempo oggi dalle vostre parti, caldo, freddo, così così? Non importa, quali siano state le condizioni atmosferiche della località dove vi trovate, tra le innumerevoli possibilità che la Natura mette a disposizione, non sarà stata colpa del riscaldamento globale. Per molte ragioni. La prima forse la conoscete se siete lettori assidui di questo blog o se semplicemente vi siete soffermati a riflettere: l’aumento delle temperature medie superficiali globali non è in alcun modo percepibile o riscontrabile nella quotidianità alla scala spaziale locale; e nemmeno a quella regionale o continentale. Non a caso la stima delle temperature medie è, appunto, globale. Ad altrettanto ampia scala spaziale sono poi riferite le proiezioni di ulteriore riscaldamento, tra l’altro sin qui largamente disattese, con i modelli di simulazione climatica che, se poco attendibili a scala globale, per spazi più ridotti sono del tutto inutili. Almeno sin qui.

 

Già questo basterebbe a tranquillizzare gli animi di quanti si sentono, come dire, un po’ assediati dai continui avvisi di catastrofe imminente così generosamente diffusi da una certa comunicazione scientifica e dalla grande maggioranza dei media. Ma per essere scettici di ragioni ce ne sono molte altre, anche analitiche e sociologiche.

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Dal pistone al pannello solare, dalla padella alla brace

Come lo chiameranno, peak iron, peak copper, peak aluminiun? La geniale ‘invenzione’ del peak oil di qualche decennio fa in fondo ha premiato. Per carità,…

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