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Autore: Guido Guidi

Quando si dice il caso…

Questo post è nato come una comunicazione di servizio. Per un paio di settimane infatti sarò a Reading, la città nel Berkshire, a ovest di Londra, che ospita il Centro Europeo per le Previsioni  Medio Termine (ECMWF, vi consiglio il click, hanno appena rinnovato completamente il loro web).

L’occasione è lieta perché si parla di predicibilità e di previsioni a lungo termine, intese come i noti prodotti dei modelli mensili e stagionali sviluppati proprio qui. Argomenti questi molto cari a tutto il panorama meteorologico, comprese le nostre pagine, che abbiamo popolato spesso proprio con discussioni sul lungo termine, specialmente durante la stagione invernale.

Ciò significa che il lavoro su CM potrebbe subire un certo rallentamento. Non è detto ma è nelle possibilità. Almeno per ora però accade il contrario, perché negli ultimi giorni sono accadute cose piuttosto interessanti, in qualche modo collegate proprio a questa città ed all’ECMWF.

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Il riscaldamento è globale, ma gli emisferi sono due!

Ci sono alcuni aspetti nell’ambito del dibattito sul clima ai quali capita di rado che si presti attenzione. Si tratta per lo più di questioni che mettono in seria difficoltà la natura ‘globale’ del problema che staremmo affrontando, per cui quanti sono impegnati sul fronte del clima che cambia e cambia male capita che se ne occupino solo per eliminare i problemi, piuttosto che per risolverli. Come nel caso di cui ci occupiamo oggi. Attenzione, per chi naviga quotidianamente alla ricerca di novità climatiche non è proprio un piatto appena cotto, perché se ne parla già da un po’, ma vale la pena comunque discuterne.

Si dice, per molti aspetti giustamente, che chi conosce il passato ha buone chance di conoscere il futuro, specialmente se presta attenzione al presente. Quest’ultimo per oggi lo lasciamo stare, non vorrei infierire, perché se dovessimo guardare al presente dovremmo chiudere in un cassetto la querelle del riscaldamento globale e dimenticarcela, né più né meno come il pianeta si è dimenticato di riscaldarsi negli ultimi tre lustri e più. Concentriamoci piuttosto sul prima, solo alla fine di questo post daremo anche un’occhiata al dopo.

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E finalmente (purtroppo) sono arrivati i tornado

Il tornado è una delle espressioni più violente del tempo atmosferico. Anzi, in valore assoluto e con i dovuti riferimenti spazio-temporali, è la più violenta. Quando passa un tornado, che il nostro territorio conosce per lo più nella versione light delle trombe d’aria, la distruzione che si lascia alle spalle è quasi totale.

C’è un’area degli Stati Uniti centrali che storicamente detiene il record per la formazione di questo genere di eventi. Non a caso quell’area è stata ribattezzata Tornado Halley, cioè il viale dei tornado. E’ però molto più che un viale, essendo una fascia di territorio che attraversa quasi tutti gli stati centrali USA. Un territorio incline alla generazione dei violenti temporali generati da supercelle rotanti, per l’effetto di sottovento generato dalle Montagne rocciose rispetto ai fronti freddi che arrivano da nord-ovest e l’aria calda e umida che sale dal Golfo del Messico. Come molti altri eventi atmosferici, anche i tornado hanno la loro stagione più prolifica, per la Tornado Halley questa copre un periodo di circa tre mesi, da aprile a giugno. Perciò, ci siamo.

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Livello del mare e climate change

Dov’è finito il riscaldamento globale? Nessuno lo sa, almeno per ora. Si dice in fondo al mare, ma non c’è verso di scoprirlo. Si dice offuscato dalla variabilità naturale, ma nessuno è in grado di spiegare dove sia stata fino ad ora. Si dice rallentato a causa di una minore attività solare, ma ancora una volta nessuno spiega perché l’elevata attività solare di qualche decennio fa non potrebbe avere avuto un ruolo importante.

Si dicono un sacco di cose, ma, soprattutto, se ne sussurra una: il riscaldamento globale è fermo, quale ne sia la ragione. Ma, si dice anche, il clima cambia lo stesso, basta guardare altrove. E di altrove ce ne sono a iosa. Ghiacci artici (ma non antartici per carità) e livello dei mari, tanto per fare un paio di esempi.

Ed è proprio sul livello dei mari che si è concentrato uno studio appena pubblicato su Nature Climate Change. Vediamolo.

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Fatti e teorie, non proprio la stessa cosa.

Qualche giorno fa, mentre trascorreva placidamente la Giornata della Terra, mi è capitato di ascoltare uno dei tanti interventi di esperti a vario titolo che commentavano la ricorrenza. Non starò qui a dirvi né di chi si tratta né dove l’ho sentito, perché non è importante. Quel che conta, nella fattispecie ha contato, sono state le modalità con cui è stato affrontato l’argomento del deterioramento del rapporto uomo-ambiente. Da abile comunicatore, il nostro ha ovviamente concluso il suo contributo buttandosi sul clima e affermando quanto segue: “i cambiamenti climatici sono un dato di fatto, questo è sotto gli occhi di tutti.”

Bene, vi faccio una domanda alla quale se vorrete potrete rispondere nei commenti ma su cui vi prego di riflettere prima di proseguire: quante cose che possano essere ricondotte ai cambiamenti climatici avete (o avete mai avuto) sotto gli occhi?

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E l’inversione continua, ma non senza danni.

Ok, direi sia il caso di prenderne atto. Tra qualche anno cammineremo per la strada inciampando nelle maschere da catastrofista gettate da tutti quelli che convertitisi per la lotta al clima che cambia in politologi-ideologi-filosofi-suggeritori, correranno a rivestire dei panni più consoni alla realtà dei fatti. Che è una sola: il pianeta non morirà di clima che cambia, né farà strage dei suoi abitanti con le sue mutazioni.

Lo sentite? E’ nell’aria, si cambia musica. Ieri l’altro, addirittura nel giorno in cui si celebrava la giornata della Terra, dopo l’ora della Terra, il minuto della Terra, il secondo del Terra etc etc, La Repubblica, quotidiano nazionale i cui annunci sulla prossima fine del mondo non si contano nei titoli degli ultimi anni, esce con questo articolo: Il pentimento dell’ecologista “Più ottimismo sulla Terra” (qui trovate il pdf, qui il testo sul blog Triskel182, che suppongo abbia qualcosa a che fare con l’autore).

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Gli effetti del forte riscaldamento stratosferico “tradotti” in troposfera

Questo post è uscito in originale su Meteotime a firma di Matteo Sacchetti il 21 aprile scorso.

In primavera avanzata, i riscaldamenti in alta stratosfera sono dinamiche normali che progressivamente conducono alla sostituzione del vortice polare con una cella altopressoria. Sulla base di quelle che sono le tempistiche si suole distinguere i Final Warmings in late ed early.

Tuttavia quando tali riscaldamenti sono accompagnati ad evidenti anomalìe positive (fig. 1) e portano anzitempo ad una sostituzione dei venti zonali anche al di sotto dei 65/60°N si può parlare anche in questo caso di Major Warmings (fig. 2).

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