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Autore: Guido Guidi

IPCC e Nature: Titoli che passione!

Definizione di “weird”:

  1. Di, riferito a, o che suggerisce qualcosa di preternaturale o sovrannaturale;
  2. Di un particolarmente strano o inusuale personaggio; strano;
  3. Arcaico, di, o riferito al fato o alle Parche.

Così titola Nature il suo commento a caldo allo Special Report IPCC (SPM SREX) sugli eventi estremi uscito nella sola forma di Summary for Policy Makers venerdì scorso:

[blockquote]Climate panel says prepare for weird weather

Despite uncertainties, the IPCC warns that climate change will bring more extreme weather.[/blockquote]

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Ma di che stiamo parlando?

Judith Curry è più politically correct e si limita a intitolare il suo post “The wrong(?) conversation”. L’oggetto è il focus eccessivo nonché eccessivamente dispendioso della ricerca climatica agli obbiettivi a scala temporale multidecadale o secolare, con coseguente drenaggio di risorse che porebbero essere meglio impiegate – risultando anche molto più utili – per migliorare le performances delle previsioni a scala temporale mensile o stagionale.

Nel nuovo report IPCC in fase di stesura (sarà completato nel 2014), sembra che sarà dedicata maggiore attenzione agli aspetti a più breve scala temporale. Sin qui l’attenzione è stata massima sulla mitigazione e sulle policy energetiche, discorsi appunto a lunghissima scadenza. Adattamento e ‘servizi climatici’ sono il futuro, discorsi questi a scala temporale molto più breve.

In un discorso molto lungo, che vi consiglio comunque di leggere per intero, spicca questa breve ma sacrosanta riflessione:

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E fu così che il tempo divenne il clima

Princeton researchers found for the first time that day-to-day weather conditions have become more erratic in the past generation. Days have increasingly fluctuated between sunny and dry, and cloudy and rainy with little in-between, which can have negative consequences for ecosystems, plants, solar-energy production and other factors that depend upon consistent weather. Green areas on this map indicate an increase in day-to-day solar radiation (sunshine) variability between 1984 and 2007; pink indicates a decrease. The portion over the Indian Ocean is voided due to a lack of consistent data. (Credit: Image courtesy of David Medvigy)

Clima ad alta frequenza, questa è la definizione con cui gli autori di un nuovo studio pubblicato sul Journal of Climate descrivono la variabilità meteorologica giornaliera.

Si passa più rapidamente dal solleone ai nubifragi? Il cielo è più sereno di sereno o più nuvoloso di nuvoloso? In poche parole, il tempo è più pazzo che mai in una sorta di marzo ripetuto per dodici mesi l’anno?

Da qualche parte nel mondo sembra di sì. In valore assoluto sul 35% della superficie del Pianeta, più precisamente nella fascia intertropicale africana e oceanica.

La fonte delle informazioi sono i dati raccolti dal Satellite Cloud Climatology Project e dal Global Precipitation Climatology Project, per un periodo di osservazioni che va dal 1984 al 2007 per le nuvolosità e dal 1997 al 2007 per le precipitazioni.

Però sembra che questa trasposizione nel quotidiano dei cambiamenti climatici – da notare il fatto che gli autori ammoniscono che questa incrementata variabilità potrebbe avere un decisivo impatto sulla generazione di energia e sulla capacità della vegetazione di assorbire CO2 – per essere una risposta locale ad un forcing globale abbia una caratteristica spaziale piuttosto eterogenea (qui, su Science Daily l’approfondimento ed il comunicato stampa).
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Tempi moderni: La Sindrome del Summer Sunny Day

SSSS, questa è l’abbreviazione. Non si tratta di una sindrome influenzale o, data la caratteristica estiva, di complicanze da eccessiva esposizione al Sole.

E’ una sindrome cui può andare incontro il sistema elettrico, ovvero le sue infrastrutture, per eccesso di offerta e scarsità di domanda.

Il denominatore comune delle fonti rinnovabili per eccellenza è infatti l’imprevedibilità. Il Sole brilla sempre, ma se ci sono le nuvole di sicuro non genera energia. Stesso effetto, anzi peggio, per le ore notturne. Il vento tira quando vuole. Può soffiare gagliardo e produrre grandi quantità di energia, ma non è detto che in quel momento ce ne sia bisogno, posto che la caratteristica imprescindibile della produzione e distribuzione elettrica è quella di rendere disponibile esattamente la quantità di energia necessaria in ogni momento.

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IPCC ed eventi estremi, prime indiscrezioni, molta incertezza.

Gli eventi estremi e il loro potenziale inasprimento ad opera del riscaldamento globale sono stati l’hot topic delle ultime settimane. Complici i fatti di cronaca, naturalmente, ma complici anche quanti hanno voluto commentare quella cronaca mettendo l’accento su di un presunto/previsto aumento dell’intensità e della frequenza di questi eventi nonostante il livello di comprensione scientifica dell’argomento sia effettivamente piuttosto basso.

A questo riguardo la comunità scientifica è in attesa della pubblicazione di uno Special Report dell’IPCC che si propone di affrontare l’argomento. In questa settimana la prima sessione congiunta dei Working Group I e II dell’IPCC si riunirà insieme ai rappresentanti dei paesi membri a kampala, in Uganda, per l’approvazione del Summary for Policy Makers e del corpo stesso del report (qui per il press release).

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Quando la bomba ti scoppia in faccia

Sarà una deformazione professionale, ma credo che molti di quelli che ci seguono, ognuno nel proprio campo, abbiano maturato una decisa malsopportazione per la serie pressoché continua di neologismi e mode che la comunicazione mediatica ci propina regolarmente.

L’avversione poi, diventa quasi voglia di gettare la spugna quando ti rendi conto che nonostante il neologismo e la moda di turno distorcano, sviliscano e travisino completamente l’oggetto della discussione che ti capita incidentalmente di conoscere, molti di quelli che come te lo conoscono si adeguano perfettamente, fornendo mirabolanti spiegazioni tecniche per fornire una patente di credibilità a quella che altrimenti sarebbe un’autentica boiata.

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Clima tempeste e alluvioni

Di solito i titoli non li copiamo, ma quello che leggete è lo stesso titolo di un post pubblicato qualche giorno fa da Stefano Caserini su climalteranti.it. I lettori più attenti ricorderanno che dopo l’evento alluvionale di Roma, abbiamo pubblicato un post in cui chiedevamo ai vari esperti intervenuti di fornire delle spiegazioni, di motivare scientificamente le affermazioni con cui si ricollegava quel genere di eventi ai cambiamenti climatici, ovvero a quanto è stato previsto che debba accadere in ragione del riscaldamento del Pianeta.

Successivamente, è successa esattamente la stessa cosa per l’evento nelle Cinque Terre. Le stesse domande cui però sono giunte delle risposte da parte di due degli interessati. Nel primo caso siamo in attesa di ulteriori approfondimenti che speriamo di poter pubblicare direttamente su CM. Nel secondo caso gli approfondimenti già ci sono, e sono nel post linkato poche righe più su. Risposte tuttavia non dirette, perché si tratta più che altro di una opinione sull’argomento, proprio come annunciato nella segnalazione in questo commento sulle nostre pagine.

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Liguria ma non solo, cronaca di eventi geologici.

Di questi giorni si fa un gran parlare di ciò che è stato fatto e di ciò che si sarebbe potuto/dovuto fare per evitare i tragici eventi che hanno colpito così duramente l’alto versante tirrenico e le coste liguri. Ma il problema non è certo recente, né nuovo.

In un quadro di riferimento che per molti aspetti parla da sé, per i riferimenti storici, per la conformazione orografica e per l’importante antropizzazione cui molte delle zone a rischio idrogeologico sono state sottoposte, sussistono forse tuttavia delle lacune conoscitive che in qualche modo sarebbe opportuno provare a colmare.

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