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Autore: Guido Guidi

Ma perché dovremmo starli a sentire?

Ci credereste? Siamo ancora una volta all’ultima spiaggia. Come la nazionale di calcio, si vince solo all’ultimo minuto dell’ultima partita utile a passare il turno. Prima di allora, nisba, malgrado i ripetuti allarmi.

Si tratta di Rio+20, il prossimo megasummit mondiale in materia ambientale e climatica. Così lo definisce Richard Steiner , biologo, certamente delegato all’adunata:

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“potrebbe essere la nostra ultima occaisone di affrontare seriamente la crisi ambientale globale prima che sia troppo tardi”.

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Stampa e divulgazione scientifica, non sempre ha torto la prima

Una nostra nota detrattrice tempo fa le chiamò notizie di seconda mano, io lo chiamo invece far circolare le informazioni che altrimenti sarebbero ignorate. Come questa, la cui fonte è per noi quasi abituale, il blog di Roger Pielke jr.

Come molti sanno, quando alla fine del 2007 si è posato il polverone alzato dalla pubblicazione dell’ultimo report IPCC, la blogosfera climatica si è messa al lavoro e ha scovato parecchie magagne. Impiego di letteratura grigia o di opinioni ideologiche, omissioni di pareri scientifici non allineati, esagerazioni, deroga alle procedure etc etc. Insomma, non proprio un lavoro da panel delle Nazioni Unite (o forse sì, dipende dai punti di vista). Un lavoro però talmente corposo che forse non si finirà mai di analizzarlo a fondo.

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Temperatura e CO2, il termostato c’è ma non lo controlliamo noi

Sulle nostre pagine, ma anche sulla maggior parte delle aree di discussione di materia climatica, si fa spesso riferimento alla complessità del sistema Pianeta, al suo essere unitario, in un continuum indistinguibile tra i suoi sottosistemi, di cui il clima di per se’ non è che una manifestazione parziale.

Un sistema che va osservato in tutti i suoi molteplici aspetti il cui studio non può che essere altamente multi-disciplinare. Non solo climatologia quindi, ma anche geologia, biologia e quant’altro possa venire in mente. Non è un caso, infatti, se alcuni dei contributi più interessanti anche per le nostre piccole discussioni, siano giunti ad esempio proprio da chi si occupa di geologia. Nella fattispecie, qualcuno potrà ricordare che spesso questi contributi si posizionano in chiave scettica circa le origini antropiche delle recenti dinamiche del clima. Non credo e non so se si possa dire altrettanto per la lettura che sto per consigliarvi, perché l’autore, affrontando il tema delle dinamiche di mantenimento dell’equilibrio del sistema a dispetto di molteplici eventi perturbanti, ci tiene a precisare che “non è alla scala della vita umana che si ristabiliscono gli equilibri perturbati”, e che “Pochi gradi centigradi in più o in meno signifi cano caldo umido o freddo secco su tutta la Terra, ma già dieci gradi in più o in meno possono signifi care lo scompenso degli equilibri che regolano la vita. Stiamo quindi attenti a non giocherellare con il termostato della Terra”.

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Sempre la stessa storia…

Premetto che ho dedicato alla ricerca sul web sull’argomento di questo post non più di dieci minuti. Se fossero stati di più probabilmente avrei trovato anche molto altro, ma direi che basta. Sì, basta perché non se ne può più. E’ decisamente ora di liberarci di questi ciarlatani, di questi spargitori di allarme, di questi venditori di fumo.

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Come ti aggiusto il clima

Sulle nostre pagine, così come sulla maggior parte dei siti web specializzati in discussioni sul clima, si fa sempre un gran parlare di temperature globali. Del resto lo spauracchio dei nostri tempi è il global warming, un fenomeno appunto globale. Il problema, come molti sanno, è che la temperatura è di per se un fattore misurabile solo in un dato luogo e in un dato momento. Perché si possa ampliare la scala spaziale di riferimento occorrono quindi molti di questi luoghi adibiti alla misurazione. Se poi si vuole conoscerne l’evoluzione nel tempo, occorre ripetere l’operazione a intervalli regolari per procedere poi a comporne la media.

Quanti di questi luoghi ci sono al mondo? Moltissimi. Quanti di questi sono effettivamente utilizzati e/o utilizzabili per monitorare l’andamento della temperatura? Molti meno. Dove sono questi sensori? Quasi tutti sulla terraferma, ovviamente e, altrettanto ovviamente, quasi tutti nelle zone ad alta densità urbana dei paesi più avanzati. Gli Stati Uniti e l’Europa fanno la parte del leone.

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Legnate dal Wall Street Journal e la rivolta dei veterani della NASA.

L’importanza di un media si misura con tre parametri, l’autorevolezza di chi ci lavora o collabora, la diffusione che ha e l’equilibrio delle notizie. Queste cose spesso vanno insieme. Quando questo non accade in genere prima o poi quel veicolo di informazione cessa di essere importante. Non pare sia questo il caso.

Il Wall Street Journal non è esattamente Topolino. Certo anche il fumetto in questione ha la sua tiratura, ma se si vuole sapere cosa succede nel mondo non è lì che bisogna andare a cercare, quanto piuttosto sul media in questione, avendo cura magari di leggerne anche molti altri.

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Tutta colpa di quei dannati vulcani!

La Piccola Età Glaciale (LIA), un periodo di significativo raffreddamento del Pianeta durato alcuni secoli a partire dalla fine del 1200 sarebbe stata innescata da un periodo di intensa attività vulcanica, con massiccia espulsione di solfati, schermatura dei raggi solari e conseguente diminuzione delle temperature. A seguire, ovviamente, aumento dell’estensione dei ghiacci, feedback positivi (cioè di ulteriore raffreddamento) dovuti all’albedo e alla circolazione oceanica e persistenza del freddo fino all’insorgere della rivoluzione industriale. Termine questo da ricordare, il perché ve lo dico alla fine del post.

Per cui, niente minimi di Maunder e Dalton nel numero delle macchie solari, niente riduzione dell’attività solare, niente forcing astronomico quindi a determinare il raffreddamento. Le cause sono state stocastiche, appunto, vulcaniche.

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Come può impazzire un clima che è sempre stato pazzo?

Ecco qua, da Quaternary Science Reviews:

Combined dendro-documentary evidence of Central European hydroclimatic springtime extremes over the last millennium (pdf)

In breve. Analizzando 1000 anni di proxy dendrocronologici, gli autori hanno individuato un segnale di condizionamento della velocità di crescita degli alberi nella frequenza di condizioni meteo-climatiche estreme, segnale evidente soprattutto per i mesi di aprile, maggio e giugno. Tale segnale, ovvero la frequenza di occorrenza di eventi estremi come prolungate siccità o elevata piovosità, non sembra essere correlato ad uno stato medio del clima, dal momento che si riscontra elevata variabilità di questi eventi anche in periodi con caratteristiche climatiche fortemente differenti come il Periodo Caldo Medioevale e la Piccola Età Glaciale. Al riguardo la tabella inserita nell’articolo è decisamente eloquente. Una cronaca lunghissima di eventi estremi, con mondo caldo, freddo e così così.

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Calma e sangue freddo, anzi gelato. Arriva la glaciazione!

Embè, non si può scherzare? Mica ho detto che arriva domani! Epperò arriva, presumibilmente entro qualche migliaio di anni.

Gironzolando per il web climatico, che ormai è un po’ una realtà a se stante, mi sono imbattuto in un post molto interessante e, per i nostri figli alla decima potenza, anche un po’ allarmante.

Come molti sanno, ma altrettanti fanno finta di non sapere, la normalità per questo accaldato Pianeta è il freddo, anzi, il gelo. Le glaciazioni infatti hanno occupato molto più tempo nella vita anche recente del Pianeta di quanto non abbiano fatto i periodi interglaciali come quello che stiamo vivendo. E lo hanno fatto con una ciclicità piuttosto regolare, con periodi di progressivo e intenso raffreddamento molto lunghi, intervallati da improvviso ma breve riscaldamento. Il tutto, attenzione, secondo la scala temporale climatica, che non ha nulla a che vedere con quelle alle quali normalmente ci riferiamo e che possiamo tentare di immaginare leggendo ad esempio la storia dell’evoluzione della nostra società.

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Il Pianeta perde calore, ma non la CO2

Ma quanto manca alla conferenza di Rio? Due mesi? Per la miseria, sarà una fatica arrivarci. Ogni giorno ne esce una nuova a causa dei lavori preparatori all’ennesimo annuncio di disastro imminente. Nature, (ex)autorevole rivista scientifica (ex almeno in termini climatici), è in prima linea.

Alcuni giorni fa è uscito un articolo di quelli destinati a far saltare il banco.

Global warming preceded by increasing carbon dioxide concentrations during the last deglaciation – Shakun 2012

Che cosa? L’aumento della CO2 ha preceduto l’aumento delle temperature alla fine dell’ultima glaciazione? Questa sì che è una notizia, dai proxy delle carote di ghiaccio antartiche si era sempre visto il contrario, prima la temperatura e poi, solo poi la CO2, anche con un ritardo di centinaia d’anni. E invece, collezionando ben 80 serie di dati proxy di vario genere, gli autori di questo articolo giurano di aver scoperto esattamente il contrario, sovvertendo una delle più solide critiche mai fatte all’ipotesi delle origini totalmente umane del riscaldamento globale. Se infatti la CO2 ha preceduto le temperature vuol dire che ne ha più probabilmente causato l’aumento.Vale la pena investigare.

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AR5, prove tecniche di modellazione

Si lavora alacremente nella comunità scientifica. Il prossimo report IPCC arriverà nel 2013, presumibilmente in primavera i Summary For Policy Makers dei tre diversi working group e poi, solo dopo aver opportunamente consumato l’eco mediatica (e consunto un certo numero di altre cose che non nominiamo), il report completo verso l’autunno, per una nuova ondata di repetita juvant sempre sui media.

Sul sito KNMI si stanno riempiendo i dataset set che serviranno ad alimentare gli scenari dei Representantive Concentration Pathways sui quali saranno innestati i modelli climatici per tirar fuori le simulazioni della temperatura media globale per i prossimi cent’anni. Il materiale è ovviamente incompleto, pare che il processo sia ancora in corso e la faccenda richieda tempo.

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Due parenti stretti, ghiaccio artico e oscillazione artica

La misura dell’estensione del ghiaccio marino alle latitudini artiche è uno dei topic della discussione sulle dinamiche del clima degli ultimi anni. Più caldo uguale meno ghiaccio, un’equazione che si sente ripetere spesso che risulta vera a scala geologica, come insegna la storia del Pianeta, ma di cui spesso si abusa, dal momento che mal si attaglia alla descrizione di quanto accaduto in tempi recenti.

Il ghiaccio artico è in declino, questo è incontestabile. Più o meno da quando si è iniziato a misurarlo con metodi oggettivi, sebbene ad esempio appena qualche giorno fa abbiamo pubblicato un post in cui si parla di dati un po’ più vecchi ma normalmente non impiegati per rappresentarne l’andamento, che rendono la realtà di questo declino meno decifrabile.

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Città, campagna e Global Warming

Alcuni mesi fa sono stati pubblicati i risultati del progetto BEST, un gruppo di studio in larga misura finanziato privatamente che ha compiuto una analisi delle serie di temperatura per valutare oltre al trend, anche la coerenza tra i risultati dei vari gestori di dataset più autorevoli.

In uno dei documenti pubblicati, è stato confermato quanto molta altra letteratura scientifica aveva già discusso, ossia la scarsa o nulla influenza che l’effetto Isola di Calore Urbano (UHI) – il riscaldamento molto localizzato che occorre nelle aree ad alta densità urbana – può aver avuto nel determinare il trend i medio e lungo periodo delle temperature medie superficiali globali sulla terraferma.

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