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Autore: Guido Guidi

Del doman non v’è certezza

Del doman non v’è certezza, recitava il poeta, riscuotendo oggi il plauso del meteorologo che ci aggiunge volentieri anche il dopodomani. E per dopodomani l’altro? Beh, per quello è diverso, per quello ci sono i modelli climatici, che notoriamente tutto sanno.

Ecco qua, dal blog di Roger Pielke sr., un paio di post nei quali si parla proprio di performance modellistiche su due aspetti delle dinamiche del clima tutt’altro che secondari, la risposta del sistema alle eruzioni vulcaniche e gli eventi precipitativi.

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Chiacchiere, sono solo noiosissime chiacchiere.

C’é una storiaccia in giro nella blogosfera climatica (argh…l’ho scritto di nuovo!) nella quale proprio non riesco a raccapezzarmi. Nelle prossime righe proverò ad interpretarla, ma già so che nel migliore dei casi riuscirò a malapena a fornirvi qualche indizio e un po’ di link.

Non si tratta di complicati discorsi climatici, nè di allettanti digressioni meteorologiche. Si tratta di chiacchiere, solo chiacchiere e pure noiose. Di queste peró, é fatta gran parte della nostra vita, delle nostre giornate e…delle cose che si leggono.

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Previsioni stagionali: Scaldiamo i motori per l’inverno!

I nostri lettori abituali penseranno che siamo impazziti, immaginando che contrariamente alle nostre abitudini, non solo ci gettiamo nella mischia delle previsioni, cosa che su queste pagine non accade quasi mai, ma addirittura lo facciamo con un anticipo che ogni meteorologo sano di mente giudicherebbe ridicolo. Così non è in effetti. Non abbiamo nessuna intenzione di fare presagi di nessun genere.

Lo spunto per il nostro titolo di oggi e per il contenuto di questo post, viene da una recente pubblicazione scientifica in materia di previsioni stagionali della quale ci ha dato notizia Science Daily:

Seasonal Forecast for northern emisphere winter 2009/2010 – IOp Science, Environmental Research Letters.

Si tratta di uno studio di rianalisi delle performance del modello di previsione stagionale in uso presso lo UK Met Office, il modello GloSea4, cui si aggiungono degli interessanti spunti previsionistici per l’immediato futuro.

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Il Meteorologo non è un deficiente

Il Meteorologo non è un deficiente. Almeno non sempre. Si avvicina pericolosamente alla soglia del difetto quando si occupa di clima, ma recupera rapidamente l’intelletto se si orienta con entusiasmo all’ipotesi delle origini totalmente antropiche delle evoluzioni del clima. Se di questo orientamento fa poi una bandiera da sventolare ad ogni buona occasione mediatica – che al suddetto meteorologo di certo non mancano – può anche diventare un climatologo e smettere di essere…deficiente.

Ho copiato pari pari il titolo di questo post da un articolo che Judith Curry ha pubblicato di recente sul suo blog:

The weatherman is not a moron

Già che ci sono prima di continuare completo il lavoro copiando anche le prime due righe del suo post, che sono una citazione di Nate Silver, il cui ultimo libro è appunto oggetto dell’articolo.

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Perché i previsori meteorologici stanno avendo successo mentre altri previsori falliscono? Perché già molto tempo fa sono giunti ad accettare le imperfezioni della loro conoscenza.

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I pallettari

Non importa quanto forte sarà il vostro servizio, quanto profonda la vostra volèe. Il pallettaro doc continuerà imperterrito a fare il metronomo da fondocampo rimandando oltre la rete tutti i vostri tentativi, fino a prendervi per stanchezza. Nel Tennis moderno ci sono stati dei pallettari storici. Quando si incontravano tra loro gli incontri sulla terra rossa potevano durare intere giornate, in qualche caso è stato necessario sospendere e riprendere il gioco il giorno successivo.

La tecnica è semplice, sebbene richieda impegno e grandi qualità fisiche, si deve solo rimandare tutte le palle dall’altra parte.

Oggi parliamo di sport? No, parliamo sempre di clima, anzi, rispolveriamo un argomento a noi molto caro, quello della relazione tra cambiamenti climatici reali o presunti, antropici o naturali che siano e eventi estremi.

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Carbon contest

Nei giorni scorsi abbiamo pubblicato un post circa uno studio recente che avrebbe misurato/osservato una diminuzione della quantità di nubi che coprono mediamente il Pianeta.

Uno dei nostri lettori, Alvaro de Orleans-B. ha posto una domanda interessante, lanciando al contempo una simpatica sfida a tutti gli altri frequentatori di queste pagine. Perché tutti possano leggerla e decidere se cimentarsi o meno la elevo al rango di post, pregando di convogliare qui eventuali commenti e/o risposte. Al tempo stesso, se credete potete utilizzare la nostra mail info@climatemonitor.it per inviare materiale o altro che supporti la vostra spiegazione.

Quanto segue è il testo del commento di Alvaro.

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Si chiama Global Warming, non America warming.

Questo è un esperimento. Voglio provare a proporre un argomento che potrebbe avere dei risvolti politici. Per carità, è già successo, ma si è trattato sempre di “incidenti di percorso”, per lo più provocazioni in stile troll in sede di commento che abbiamo sempre bloccato sul nascere. Per scelta.

Oggi proviamo a farci del male da soli, perché so già che potenzialmente si potrebbero alzare bandiere di colore opposto. Vorrei però invitarvi a riflettere soltanto sui contenuti di quanto segue, evitando dietrologie, barricate o preconcetti ideologici. Non dovrebbe essere difficile, perché non si tratta di casa nostra, sono pazzo sì, ma non fino a questo punto.

Si tratta degli USA e della loro campagna elettorale, accesasi recentemente con le convention delle due opposte fazioni celebrate una dopo l’altra. Del resto, piaccia o no, nel bene o nel male, quello che succede dall’altra parte dell’oceano ci riguarda sempre da vicino, almeno da 70 anni a questa parte.

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La coperta si accorcia

Un paio di anni fa Roy Spencer, che lavora insieme a John Christy sui dati delle temperature rilevate dai satelliti, ha pubblicato un libro con un titolo piuttosto significativo:

The great global warming blunder

Blunder significa “abbaglio”, ma anche svista o errore. Il comune denominatore del suo libro è semplice: nel gridare all’allarme per un clima che si disferebbe a causa delle attività umane, essenzialmente emissioni di CO2, la gran parte della comunità scientifica ha confuso la causa con l’effetto. Infatti nell’introduzione, salvo poi sviluppare il concetto molto più approfonditamente nel corpo del libro, egli asserisce che per giustificare, ovvero causare, una buona parte se non tutto l’aumento che le temperature medie superficiali hanno subito nelle ultime decadi del secolo scorso, sarebbe sufficiente una diminuzione dell’ordine dell’1-2% della copertura nuvolosa a livello globale.

Le nubi di fatto schermano i raggi solari. Se così non fosse non ci sarebbero fior di avveniristici e utopici progetti di generazione forzata della nuvolosità o di ancor più utopici specchi orbitanti per mitigare gli effetti del global warming antropico, in quella che chiamano geoingegneria ma è più che altro la caricatura delle gesta di Archimede Pitagorico.

Beh, sul Journal of Climate è uscito qualche tempo fa un paper con questo titolo:

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Sto bene, grazie, ma potrei star meglio.

[error]

[…] Il passo delle soluzioni tecnologiche per affrontare il cambiamento climatico potrebbe non essere adeguato ad affrontare le difficoltà che il disfacimento del clima su larga scala lascia presagire.

[/error]

Questa sopra è l’ultima frase dell’anatema con cui il Bullettin of Atomic Scientist ha aggiornato nel 2012 le lancette del Doomsday clock, portando l’umanità a cinque minuti dal disastro. Secondo loro, ovviamente. Considerato il fatto che tutte le altre tragedie e difficoltà, reali a dispetto di quella sopra, che hanno elencato nel loro messaggino non hanno subito sostanziali modifiche, c’è da credere il cambiamento climatico abbia pesato il giusto per rimetterci questi preziosissimi sessanta secondi di storia dell’umanità.

A guardar bene in effetti, la climafobia aveva fatto il suo ingresso tra le apocalissi possibili già nel 2007. Allora i minuti erano sempre cinque e il vaticinio suonava così:

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In attesa dell’assaggio

Sta iniziando la vendemmia. Per ora solo colture particolari, il grosso arriverà tra un paio di settimane. L’estate è stata calda e decisamente arida, per cui la produzione sarà probabilmente largamente inferiore a quella dello scorso anno e ancora più lontana dal record del 2000.

In attesa che comincino gli allarmi e gli elenchi delle tragiche prospettive, vi invito alla lettura di questo articolo sul Corriere della Sera:

La calda vendemmia della decrescita felice

Calma, è solo un titolo. Ed è anche azzeccato. Click qui sotto per sapere perché.

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