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Autore: Guido Guidi

Lavorare meno raffreddarsi tutti

L’ultimo uovo di colombo in materia di lotta al clima che cambia, con l’uso del termine lotta fa il paio con il titolo  di questo post. Viene dal Center for Economic and Policy Research la soluzione a tutti i nostri mali: per limitare le emissioni di gas serra e quindi avere a che fare con meno cambiamenti climatici (sic!), sarebbe sufficiente ridurre le ore di lavoro. Trattasi naturalmente di un report nuovo di pacca:

 

Reduced Work Hours as a Means of Slowing Climate Change

 

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Uhm…due gradi in più sono comunque meglio di niente…

I lettori più assidui di questo blog ricorderanno che qualche giorno fa abbiamo commentato l’apparizione nella blogosfera climatica della bozza di secondo ordine del futuro 5° Report IPCC. Un documento interessante, oltre che per il suo valore intrinseco, anche per quello che si potrebbe definire un accenno di cambiamento di rotta rispetto alle monolitiche convinzioni che hanno accompagnato nel recente passato il lavoro del Panel.

 

Ad oggi, tuttavia, non è dato sapere se questo cambiamento riguarderà anche uno degli argomenti più centrali in ordine al dibattito sul clima, ovvero la sensibilità climatica, cioè la stima dell’aumento delle temperature medie superficiali che sarebbe lecito attendersi per un raddoppio della concentrazione di CO2 rispetto all’era pre-industriale.

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Un tempo da un miliardo di dollari

Non è una scommessa sulla prossima possibile-anzi-no-ma-forse-sì passata di neve a Roma quella cui faccio riferimento. Anzi, non è proprio una scommessa. Si tratta piuttosto di uno strumento di analisi messo a punto dalla NOAA in materia di danni provocati dagli eventi atmosferici estremi.

 

E’ qualcosa di molto mediatico, sia nei contenuti che nell’editing grafico. E, naturalmente, i media ci si sono tuffati traendo le solite molto affrettate conclusioni: il clima che cambia non solo ci arrostirà, ma probabilmente prima che questo accada ci ridurrà sul lastrico distruggendo a colpi di vento, inondazioni, siccità et similia tutto quello che abbiamo di più prezioso. Confido nel fatto che non fosse questo lo scopo perseguito da chi ha implementato questo progetto, diciamo che è stata cercata la diffusione di un messaggio il più comprensibile possibile, magari perché si prendano ancora di più le giuste precauzioni per difendersi da una Natura che, di fatto, proprio clemente non è mai stata. Che questa cambi oppure no.

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Essere ricchi e vivere felici…alla faccia di Malthus

Non parliamo espressamente di clima oggi, ma piuttosto di policy climatiche. E’ già capitato molte volte di discutere come queste passino troppo spesso, anzi, si può dire praticamente quasi sempre, attraverso concetti piuttosto estremistici di limitazione della crescita, ove non addirittura decrescita, portati avanti con grande convinzione da molti di quanti sono sicuri che si vada incontro alla catastrofe climatica.

 

Roger Pielke jr, che non è né scettico ne catastrofista, ma semplicemente sempre molto obbiettivo, ha pubblicato un paio di giorni fa un post in cui si augura che prima o poi si possano mettere definitivamente in cantina, o magari nella spazzatura, atteggiamenti e proponimenti che si rifanno al cosiddetto Paradosso di Easterlin, uno dei dogmi più cari all’attivismo ambientale e climatico.

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Resilienza tempi di ritorno e memoria corta

Su queste pagine abbiamo affrontato il tema degli eventi estremi moltissime volte, forse troppe. Eppure è molto difficile evitare di tornarci su, perché gli input che arrivano sono davvero tanti. Per esempio qualche settimana fa abbiamo visto come si stia iniziando a parlare di obbligatorietà della copertura assicurativa dalle calamità naturali. Un discorso che da noi è veramente in embrione, malgrado qualche operatore del emrcato assicurativo si stia già muovendo e malgrado in altri paesi il percorso, pur difficile, sia in effetti già tracciato.

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Ho un SUV che è un jet!

Il mio SUV, ma anche il vostro o, se preferite, la vostra utilitaria, è un jet. Ma non nel senso del motore a reazione, piuttosto nel senso del jet stream, ossia il veloce flusso ad alta quota che separa l’aria polare da quella delle medie latitudini e quest’ultima dall’aria sub-tropicale.

 

Il jet stream, o corrente a getto, è il motore della circolazione atmosferica a livello emisferico, dove il calore ricevuto dal Sole ne è invece il carburante. Volendo potremmo andare avanti parecchio con i paragoni tra un mezzo meccanico e la circolazione dell’aria attorno al Pianeta, ma per il momento ci fermiamo qui.

 

Ci basti sapere che le oscillazioni latitudinali e longitudinali della corrente a getto polare determinano la rotta delle perturbazioni. Quella che stiamo vivendo per esempio è una stagione che sta vedendo il getto polare muoversi a latitudini piuttosto basse, sicché le perturbazioni viaggiano basse e la stagione è piuttosto piovosa. I “puristi” del meteo mi perdoneranno per questa descrizione a dir poco grossolana, ma ne avevo bisogno per preparare l’argomento di oggi.

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