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Autore: Guido Guidi

Riscaldamento globale o regionale?

Già parecchio tempo fa, quando appena si iniziava a parlare della stesura del prossimo report dell’IPCC, il quinto della serie, dalle dichiarazioni di quanti hanno poi preso parte al processo di generazione del report, era emersa chiaramente la necessità di andare nella direzione di una descrizione delle dinamiche del clima a scala temporale decadale o multidecadale piuttosto che secolare e a scala spaziale più regionale che globale.

 

Le condizioni climatiche, del resto, possono evolvere in modo profondamente diverso da regione a regione, anche e soprattutto in risposta a modifiche dello stato termico del Pianeta misurate invece a scala globale. In sostanza, ad una modifica in positivo del bilancio radiativo – il sistema si scalda se e quando trattiene più energia di quanta ne riceve – se nel lunghissimo periodo e per modifiche molto accentuate si registrano comunque variazioni paragonabili, ma in questo caso si parla di glaciazioni o di completa perdita dei ghiacci, per brevi periodi climatici, il clima può evolvere verso il freddo in una zona mentre un’altra o più altre soffrono un riscaldamento e viceversa. Questa, entro certi limiti indipendentemente dal segno che assume il trend delle temperature medie superficiali globali, è la storia del nostro Pianeta. Queste variazioni però, sono anche quelle delle quali ha senso preoccuparsi, perché hanno luogo a scale temporali paragonabili con l’evoluzione della società, con le dinamiche della disponibilità e accessibilità delle risorse, sono quelle, insomma, con cui ci dobbiamo confrontare. E’ questa la ragione per cui, tra l’altro in un contesto di affidabilità dei sistemi di previsione tutta da dimostrare, un presunto aumento della temperatura media globale insostenibile per la fine di questo secolo, se per essere più credibile viene rafforzato con previsioni a breve termine di aumento degli eventi estremi o di scomparsa totale della neve, quando tutto ciò non avviene diviene risibile. Perché, se qualcuno non se ne fosse accorto, nonostante il riscaldamento globale possa essere stato associato ad ogni genere di sventura, il clima continua a fare quello che ha sempre fatto, cioè cambiare e, soprattutto, essere anche largamente impredicibile.

 

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Un clima insensibile ma di gran moda

Un paio di settimane fa abbiamo parlato del nuovo paper pubblicato sulla rivista dell’AMS a firma di Nick Lewis sulla sensibilità climatica. Uno studio che va a collocarsi tra quelli che, specie negli ultimi tempi, sono orientati a descrivere il sistema climatico come scarsamente sensibile al forcing antropico. Per sensibilità climatica, lo ripetiamo per quanti non dovessero essere addentro al problema, si intende il riscaldamento atteso in ragione di un raddoppio della concentrazione di anidride carbonica in atmosfera rispetto ai valori pre-industriali e scaturisce dalla somma del contributo diretto della CO2 più quello, amplificante o mitigante, di tutti i meccanismi (noti e non) che si metterebbero in moto in ragione di questo contributo. E’, di fatto, il tema centrale del dibattito sulle origini del riscaldamento globale e, soprattutto, sulla sua evoluzione.

 

A dimostrazione del fatto che la questione sia tutt’altro che conclusa, anche questo paper ha suscitato un vibrante dibattito nell’ambiente scientifico. La discussione si è accesa molto rapidamente, come ormai accade spesso da quando la rete si è popolata di ambienti di discussione cui contribuiscono anche molti autorevoli scienziati, segnando una volta di più dei punti in favore del libero scambio delle informazioni anche al di fuori dei normali canali delle pubblicazioni scientifiche.

 

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Una sostenibilità sostenibile

Il titolo di questo post non è un gioco di parole, quanto piuttosto un obbiettivo che dovrebbe essere perseguito. La realtà, sfido chiunque a negarlo, è spesso cruda, come quella di questi tempi, ma ha anche il difetto di superare sempre l’immaginazione, anche quella animata dalle migliori intenzioni.

 

E’ di qualche giorno fa la notizia del dietrofront della Commissione Europea rispetto alle politiche climatiche che ne hanno caratterizzato il lavoro negli ultimi anni. Votando contro il provvedimento che sarebbe dovuto intervenire in soccorso del mercato ETS, scrive Roger Pielke jr, alle policy climatiche è stato assegnato un posto in sala d’attesa, manifestando (per fortuna!) il fatto che gli europei non sono diversi dagli altri abitanti di questo pianeta e, quindi, di fronte all’alternativa tra tentare di tamponare gli effetti di una crisi economica divenuta cronica e perseguire policy climatiche molto costose e dai dubbi risultati, hanno razionalmente scelto la prima opzione. La fine di un brand, cioè di un simbolo che ha ben rappresentato l’impegno nelle policy climatiche, ma che è stato sin dall’inizio privo di sostanza. Difficile pensare che questo cambiamento nell’orientamento del Parlamento Europeo, possa non avere a che fare con quello che i singoli stati fanno in barba a quello che dicono di voler fare. Il carbone, la tanto vituperata materia prima fossile i cui residuati di combustione avrebbero dovuto essere oggetto di tassazione sempre più stringente al fine di limitarne il consumo, è salito al 30% nel mix energetico su base globale (+5% nel 2012) e al 33% in Europa, con paesi “molto verdi” come la Germania, l’Inghilterra e la Francia, che guidano la classifica dell’aumento delle importazioni. Curiosamente, l’Italia, sprecona e inquinante, è al 12%, 19 punti percentuali sotto la media europea (Corriere e Repubblica). E così ora, fallite per manifesta inadeguatezza le policy di mitigazione, si passa all’adattamento, puntando sul mercato assicurativo. Che Dio ce la mandi buona.

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I meteo “deliri” sulla primavera/estate 2013

Il materiale che segue me lo ha mandato Lucio Camporesi, uno dei nostri lettori. Senza alcuna pretesa di entrare nell’agone delle “previsioni impossibili”, le sue riflessioni (o deliri, come egli stesso li definisce), possono essere comunque un punto di partenza (a parte una terminologia a tratti tipicamente forumesca 🙂 ). Naturalmente, lo aspettiamo tutti al varco nei prossimi mesi. Per adesso buona lettura.

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Per provare a determinare una linea di tendenza per il resto della primavera e l’estate prendiamo in esame un indice che ci aiuta a capire lo stato di salute del vortice polare stratosferico, il serbatoio di freddo per il nostro emisfero. Il vortice, dopo l’evento di SSW di metà gennaio, non si è più ricompattato a dovere, continuando quindi a lanciare “bombe” gelide verso sud.

 

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Elitocrazia illuminata, possibilmente con lampade a basso consumo

Ieri l’altro è andato in scena un tragico surrogato della festa della Mamma, la festa della “Madre Terra“. Non so se qualcuno abbia per l’occasione procurato anche un vitello d’oro o altri oggetti da venerare, certo è che una volta di più si è palesato il volto del culto religioso dei nostri giorni, con l’aggiunta di sinistri proponimenti autoritari dei partecipanti alla funzione.

 

Sul non-so-veramente-cosa-sia Settegreen del Corriere della Sera, si è deciso di dar la parola a Jørgen Randers, che pare sia uno dei padri del dibattito sulla sostenibilità e al suo recente saggio “2052: Scenari globali per i prossimi quarant’anni“. Randers, insieme ad altri trenta esperti di previsioni sistemiche (sic!), ha emesso il suo verdetto stile Zaratustra: “[…] il mondo si muoverà inesorabilmente verso una crisi climatica abnorme“. A meno che, sottolinea, non si prendano decisioni che però l’attuale sistema di democrazia partecipata non è in grado di prendere e dovrebbero quindi essere imposte da un sistema tecnocratico formato da una élite di illuminati che sappia guardare al futuro.

 

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Il consenso in una cella di excel

Un foglio elettronico, un risultato clamoroso, un consenso concesso perché non si vedeva l’ora di farlo, un valore sbagliato in una cella, un risultato sbagliato, una figura da cioccolatai. Queste, più o meno con questa successione, le cose che sono accadute, con la crisi iniziata nel 2008 divenuta cronica forse anche in ragione di questi eventi.

 

Non parleremo di clima, almeno non subito, ma ci torneremo presto. L’argomento di oggi mi è stato suggerito da uno dei nostri lettori, che tra l’altro mi onora della sua amicizia. Ecco qua, due articoli molto simili usciti uno sul Financial Times e l’altro sul New York Times. Concentriamoci sul secondo, perché è di libera lettura (FT richiede la sottoscrizione) e perché lo ha scritto Paul Krugman, già premio nobel per l’economia, che magari non ne saprà di clima ma di certo ne sa di soldi e dintorni.

 

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