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Autore: Guido Guidi

Un terremoto tra un minuto! E adesso che si fa?

Innanzi tutto un bel respiro profondo. Già, perché qualche giorno fa mi sono imbattutto in un bell’articolo di tale Annalee Newitz su Wired. Un pezzo in cui si parla molto di previsioni, comprese quelle relative ad eventi climatici, ma, per una volta, senza nominare il disastro climatico prossimo venturo.

 

Our Algorithms Can Predict Future Disasters — Now What?

 

 

E questo accade perché le previsioni di cui si parla hanno il terribile difetto di essere facilmente soggette a verifica, in alcuni casi a distanza di pochi minuti. Quindi, nessuna possibilità di inventarsi la fine del mondo ed uscirne indenni. L’argomento è stimolante, soprattutto per le recenti discussioni che abbiamo fatto sulle nostre pagine.

 

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La rete è mia e me la gestisco io!

Questa volta comincio dalla fine:

 

Basta confutare i dati scientifici con il conformismo del pensiero dominante o con il ricorso a bufale suggestive, per essere ripresi e “forwardati” senza essere sottoposti ad un filtro critico e oggettivamente contestabile.

 

Tra un po’ vi dirò da dove ho estratto questo periodo, prima però, proverei a ricordare una certa trasmissione di un certo noto conduttore molto impegnato dal punto di vista ambientale. Si mostrava Milano sommersa dalle acque di un mare inarrestabile nel 2050. Milano è 120 metri sul livello del mare, le proiezioni dell’IPCC sull’innalzamento del livello dei mari non vanno oltre il metro, anzi, meno. Quelle più catastrofiche credo parlino per fine secolo di sei metri, ma non mi sono mai preso la briga di approfondire perché vivo in collina. Però, per arrivare a 120 ci vuole un bel po’. Quel conduttore è incidentalmente anche ricercatore, nonché fermamente convinto che l’uomo abbia disfatto il clima, cioè è sicuramente aderente a quella ormai sputtanatissima forma di associazionismo che si maschera da consenso scientifico. Quel conduttore/ricercatore spesso, liberamente (e giustamente), compare anche sulle pagine da cui proviene il periodo con cui abbiamo iniziato. Ma, ad onor del vero, non in questo caso, nonostante le sue opinioni siano state spesso “forwardate”. Insomma, il link di oggi è quello qui sotto.

 

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L’umidità fa male alle ossa…dei catastrofisti

Per far camminare le auto ci vuole il carburante, normalmente fossile. Molto più raramente e, più specificatamente negli ultimi tempi, si vedono in giro auto che impiegano la propulsione elettrica. Se ibride, con l’ausilio – e molto minor consumo – sempre di combustibili fossili, se elettriche pure, con energia fossile più o meno pura anche in quel caso, perché l’elettricità deve comunque essere prodotta. Insomma, per avere a disposizione dell’energia di movimento, ci vogliono grandi quantità di energia termica. E, purtroppo, quella immessa nel sistema è sempre molto superiore di quella utilizzata con efficienza.

 

Il clima e il tempo atmosferico funzionano allo stesso modo. Il sistema riceve energia termica e si mette in moto, producendo gli eventi atmosferici. In atmosfera il vettore di questo calore è il vapore acqueo, che però, essendo anche il più potente dei gas serra, ha anche un ruolo determinante nel modulare la quantità di calore disponibile. In modo molto poco ortodosso, si potrebbe dire che il vapore acqueo decide “da solo” quanto calore avrà da trasportare e quanto ne renderà disponibile per far muovere gli eventi atmosferici. Ma, con le temperature che aumentano o, meglio, sono aumentate, in atmosfera c’è maggiore disponibilità di vapore acqueo, quindi più energia disponibile e più effetto serra, quindi anche temperature che dovrebbero aumentare ancora.

 

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La jella delle Hawaii

Ci sarà pure il sole alle Hawaii, sarà pure un posto da sogno, ma se state programmando di eleggerle come vostro buen retiro, sarà bene pensarci su un attimo. Diciamo anche più di un attimo, almeno fino alla fine di questo secolo, ponendo maggiore attenzione agli ultimi 25 anni del periodo.

 

Ecco qua, da Nature Climate Change:

 

Projected increase in tropical cyclones near Hawaii

 

E da Science Daily, che ha ripreso il comunicato stampa dell’università delle Hawaii, da cui appunto provengono i ricercatori che firmano l’articolo:

 

More Hurricanes for Hawaii?

 

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Il fresco profumo della Natura

I prati, le foreste, le aree rurali, chissà quante volte vi sarà capitato di recepire delle sensazioni olfattive particolari girando lontano dagli insediamenti urbani. Bene, quel profumo, scrivono gli autori di una letter appena pubblicata su Nature Geoscience, è in grado di mitigare il riscaldamento globale.

 

Warming-induced increase in aerosol number concentration likely to moderate climate change

 

Si parla di feedback, cioè di quei meccanismi possibilmente innescati dall’aumento delle temperature che possono potenziare o limitare, come in questa fattispecie, l’ampiezza della stessa causa che li ha generati. Come molti sanno e come ci è capitato di scrivere più volte, la potenziale pericolosità del riscaldamento globale non è direttamente ascrivibile alla relazione esistente tra l’incremento dei gas serra e la temperatura, perché questa è tale da generare un aumento delle temperature non molto significativo. Il problema, piuttosto, verrebbe dall’innesco di feedback con prevalente segno positivo, cioè in grado di amplificare l’entità del riscaldamento. Questo almeno è quanto scaturisce dalle simulazioni climatiche, strumenti essenzialmente “istruiti” con una sensibilità climatica – leggi entità del risaldamento del sistema al raddoppio della CO2 – dominata da fattori di amplificazione e quindi piuttosto elevata.

 

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CO2 e Temperature, la causalità di Granger non funziona

Forse qualcuno ricorderà che ormai più di un anno fa, precisamente nel febbraio 2012, abbiamo pubblicato un post di commento ad un lavoro di ricercatori italiani in cui veniva applicato il principio di causalità di Granger alle serie storiche della concentrazione di anidride carbonica e delle temperature medie superficiali globali.

 

Il nostro post, pur essendo di fatto un mirror, aveva suscitato una lunga discussione in cui sono intervenuti anche gli autori dello studio. I toni, dapprima piuttosto accesi e non propriamente costruttivi, si sono poi rilassati e hanno condotto ad un proficuo approfondimento. Il tema centrale della discussione, ha poi finito per essere quello dell’applicabilità della tecnica statistica del principio di Granger per tramutare la correlazione esistente tra le serie in un rapporto di causalità.

 

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Dai lavori verdi a quelli a luci rosse

Doveva, anzi, dovrebbe essere sempre più verde l’economia del futuro. Per non sbagliare, già da tempo, praticamente da sempre, il verde è il colore dominante…

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