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Autore: Donato Barone

Le transizioni energetiche: sogni e realtà.

Dopo aver letto il post di G. Guidi “Protocolli, emissioni e crisi, se vi piace così…” del 22/04/2014, ho avuto occasione di leggere un interessante articolo a firma di Vaclav Smil pubblicato sul numero di “Le Scienze” di aprile 2014. Vaclav Smil è professore emerito presso l’Università di Manitoba ed è uno dei maggiori esperti mondiali di problemi energetici e non solo (chissà perché le voci fuori dal coro del consenso sono quasi esclusivamente di professori et similia “emeriti”: forse perché non hanno più necessità di pubblicare o chiedere contributi? 🙂 )

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La magnetoricezione e l’evoluzione delle piante: influenza della polarità del campo geomagnetico nell’evoluzione delle specie vegetali

di Donato Barone

 

Sulla rivista Trends in Plant Science è stato pubblicato un breve articolo a firma di A. Occhipinti, A. De Santis, e M. E. Maffei

 

Magnetoreception: an unavoidable step for plant evolution? (a pagamento)

 

Tutti gli esseri viventi che popolano la Terra sono immersi nel campo magnetico generato dalle correnti elettriche associate ai flussi turbolenti che si sviluppano nel nucleo metallico fuso del nostro pianeta. Il campo magnetico terrestre è di fondamentale importanza per lo sviluppo della vita e per la sua conservazione in quanto è in grado di deflettere le particelle ad alta energia provenienti dallo spazio impedendo che esse interagiscono con le cellule viventi. Tali particelle (raggi cosmici, in modo generico e vento solare) hanno, infatti, grosse capacità mutagene in quanto capaci di interagire con le molecole di DNA degli organismi viventi.

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La natura è in grado di auto regolarsi!

L’affermazione contenuta nel titolo sembra paradossale in quanto ovvia. Questa ovvietà, però, è sempre stata messa in dubbio da coloro che sostengono che il nostro Pianeta, per cause antropiche, è destinato a finire arrosto. Ora sembra che qualcuno stia cambiando opinione.

 

Il prof. L. Mariani in alcuni suoi post ed in molti commenti ha sempre sostenuto che i modelli climatici trascurano gli effetti dell’evaporazione e, quindi, del vapore acqueo nell’atmosfera. Egli sostiene, se non ho mal interpretato il suo pensiero, che una maggiore evaporazione e successiva condensazione del vapore acqueo, sono in grado di mitigare l’effetto riscaldante dei gas serra. Oggi, “passeggiando” in rete mi sono imbattuto in un comunicato stampa della Hebrew University di Gerusalemme ripreso anche da Science Daily  in cui si sostiene il ruolo raffrescante del vapore acqueo.

 

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La variabilità naturale ed i modelli di circolazione generale CMIP5: confronto tra GCM e modelli armonici

Nei giorni scorsi è esplosa una violenta polemica negli ambienti di discussione climatica in seguito alla chiusura di una rivista scientifica che aveva pubblicato uno Special Issue contenente anche un lavoro di Nicola Scafetta. Non è mia intenzione tornare sull’argomento, se ne avete voglia potete andare a leggere qui il mio post e i commenti dello stesso Scafetta. Vorrei però sottolineare che una delle motivazioni addotte per la chiusura della rivista è stata quella che imputava agli editori un atteggiamento “nepotistico” e quindi potenzialmente condizionato nella scelta dei revisori dei lavori. Nel post di oggi Donato Barone ci parla di un altro articolo di Nicola Scafetta ovviamente soggetto a rigido scrutinio prima della pubblicazione. Il fatto che i lavori di Scafetta siano stati ingiustamente accomunati all’episodio, gettandovi sopra un’ombra che non meritano, sinceramente è per me che conosco Nicola come uomo e come ricercatore inaccettabile. Perciò, come fa lui, continuiamo per la nostra strada, a leggere per cercare di capire ed imparare, con buona pace di chi pensa che evitando la pubblicazione di lavori ‘sgraditi’ si possa mettere un freno alla conoscenza.

Buona lettura.

gg

 

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Chi segue con una certa assiduità questo blog conosce gli studi del prof. Nicola Scafetta e sa che egli ha elaborato un sistema di previsione dell’evoluzione delle principali grandezze fisiche che caratterizzano il clima terrestre basato sull’analisi armonica. Nel 2010 N. Scafetta  pubblicò un interessante lavoro in cui confrontava i risultati dei modelli CMPI3 con le misurazioni reali delle temperature. Il lavoro dimostrava che i modelli GCM non erano in grado di schematizzare l’effettivo andamento delle temperature terrestri come risultavano dai principali set di dati in circolazione. In particolare si faceva notare che nel corpus dei dati erano individuabili delle periodicità tra cui quelle maggiormente degne di nota riguardavano i periodi di circa 9 anni, circa 11 anni, circa 20 anni, circa 60 anni e via cantando.

 

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Evidenze empiriche della capacità dei cicli planetari di modulare l’Irradianza Solare Totale (TSI)

Su queste pagine abbiamo avuto modo di commentare diverse volte i lavori del prof. N. Scafetta per cui tutti noi, ormai, conosciamo i suoi modelli e la capacità di tali modelli di replicare il comportamento del sistema climatico. L’attuale iato nell’aumento delle temperature superficiali, per esempio, è stato modellato dal prof. Scafetta già da qualche anno e in questo ha avuto più successo dei modelli accoppiati oceano-atmosfera i cui risultati sono alla base dell’AR5 dell’IPCC.
Limitarsi, però, alla sola temperatura superficiale significa sminuire i meriti del prof. Scafetta in quanto le sue metodiche di analisi non lineari riescono ad aver ragione anche di altre bizzarrie legate al clima e, più in generale, al sistema fisico terrestre: livello dei mari, AMO, PDO e non ultimi, i modelli climatici stessi.
In uno dei suoi ultimi lavori, pubblicato sulla rivista Astrophysic Space Science lo scorso mese di luglio, il prof. N. Scafetta ha cercato di modellare i cicli ad alta frequenza che caratterizzano l’irradianza solare (TSI):

 

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I modelli climatici e la loro bassa capacità predittiva: ipotesi di miglioramento.

I modelli climatici e la loro bassa capacità predittiva: ipotesi di miglioramento.

Tore Cocco ha recentemente pubblicato, qui su CM un interessante post sullo stato dell’arte della ricerca in ambito climatico. Tra le molte considerazioni che ha svolto nell’articolo, una mi ha particolarmente colpito:

 

“La climatologia è una scienza enormemente più vasta e complessa delle scienze necessarie a progettare un aereo, e a differenza di quest’ultimo siamo ancora molto lontani dal realizzare un modello di clima “funzionante” realisticamente.”

 

Io condivido questa impostazione del discorso che, noto con piacere, sta cominciando a farsi strada anche nell’ambiente della climatologia.
Incuriosito da una presentazione a firma del prof. A. Pasini apparsa su “Le Scienze” di agosto che, sotto diversi punti di vista, si collega alla citazione di T. Cocco con cui ho aperto questo post, ho rintracciato un brevissimo articolo a firma di B. Stevens e S. Bony pubblicato su Science in cui si analizzano i risultati dei modelli climatici attualmente utilizzati dai climatologi:

 

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Influenza della fusione dei ghiacci groenlandesi sulla variazione del livello del mare: non è solo questione di GW

In un mio precedente post ho avuto modo di commentare l’influenza del tasso di fusione delle calotte glaciali antartiche e groenlandesi sulla velocità di variazione del livello del mare. La conclusione del post metteva in risalto la grande incertezza che caratterizzava le stime del contributo delle calotte glaciali antartiche e, soprattutto, groenlandesi nella determinazione della variazione del trend dell’accelerazione del livello del mare.

Ad aumentare l’incertezza, qualora ve ne fosse bisogno, ha contribuito un interessante articolo da poco pubblicato su Nature Geoscience  (qui l’abstract):

 

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Influenza della fusione della calotta glaciale antartica e di quella groenlandese sull’accelerazione dell’aumento del livello dei mari

La variazione della velocità di aumento del livello medio dei mari è stata oggetto di discussione su CM in diverse occasioni. Nell’ultimo post dedicato a questo argomento ho avuto modo di commentare le analisi effettuate dal prof. Nicola Scafetta sui vari record di dati mareografici utilizzati nella letteratura scientifica. Uno degli aspetti di maggior rilievo posto in evidenza dal prof. N. Scafetta, riguardava l’influenza della lunghezza del record preso in considerazione sulla stima della variazione della velocità di aumento del livello del mare. In estrema sintesi il livello del mare varia in modo ciclico con periodicità multidecadale per cui a periodi di aumento seguono momenti di diminuzione del trend di variazione del livello del mare. Se il record utilizzato è corto non possiamo sapere se ci troviamo in una fase in cui il trend è in aumento o in diminuzione per cui corriamo il rischio di attribuire a cause non naturali effetti che sono del tutto naturali: se ci troviamo nel tratto ascendente della curva che rappresenta la variazione multidecadale del livello del mare, siamo portati a credere che la velocità con cui varia il livello del mare è aumentata, viceversa se ci troviamo nella parte discendente della medesima curva.

 

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Criticità nelle curve di normalizzazione regionali utilizzate in Briffa et al. 2013

Circa un mese fa, qui su CM, è stato pubblicato un articolo in cui ho commentato un notevole lavoro del dr. K. Briffa et al. relativo alla revisione della cronologia delle serie di dati dendrocronologici desunti dallo studio di campioni (in vivo e sub fossili, cioè alberi morti di cui si conserva, generalmente, la parte più vicina al terreno) di larici siberiani raccolti nelle aree della penisola di Yamal e degli Urali polari russi.

 

Briffa et al., 2013 per estrarre dalle serie di dati raccolti il segnale climatico, ha fatto ricorso a delle curve di normalizzazione regionali (RCS). In occasione del mio precedente commento ebbi modo di sottolineare che queste curve rappresentavano un elemento di una certa debolezza nella trattazione di Briffa et al. 2013. Nelle settimane successive alla pubblicazione del post questi miei dubbi hanno trovato un’autorevole conferma in una serie di post del dr. Jim Bouldin che, in originale, possono essere liberamente consultati qui.

 

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I modelli di regressione: non è tutto oro quello che luce

Il prof. N. Scafetta, in questi ultimi tempi, si sta interessando al problema del livello del mare e della sua evoluzione futura. Dopo il recente articolo…

 

Multi-scale dynamical analysis (MSDA) of sea level records versus PDO, AMO, and NAO indexes – (pdf)

 

…di cui ho avuto occasione di parlare qui, è stato da poco pubblicato un nuovo lavoro che, però, si occupa di un problema ancora più generale: gli errori nell’applicazione dei modelli di regressione e dei filtri wavelet utilizzati per analizzare i segnali geofisici.

 

Discussion on common errors in analyzing sea level accelerations, solar trends and global warming

  – (pdf)

 

Nell’articolo, piuttosto corposo e denso di spunti di riflessione molto interessanti, il prof. N. Scafetta accentra la sua attenzione su tre aspetti che rivestono molta importanza nel dibattito in corso tra i membri della comunità scientifica che si occupano di climatologia, in generale, e dei suoi aspetti più particolari (temperature, livello dei mari, contenuto di calore degli oceani, paleoclima ecc., ecc.) Secondo quanto scrive il prof. N. Scafetta nel suo articolo (da ora Scafetta, 2013b) buona parte degli studi che sono stati effettuati fino ad oggi sono affetti da errori ed approssimazioni eccessivi in quanto non tengono conto di tre importanti fonti di errore.

 

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Il livello del mare cresce molto più del previsto, ma anche molto meno del previsto: per cause prevalentemente naturali, però!

Nel recente passato ho avuto modo di esporre (qui e qui CM), alcune considerazioni relative ad articoli che si occupano del livello del mare e, in particolare, delle variazioni della velocità di aumento del livello del mare. Dal confronto delle varie pubblicazioni si può facilmente capire che la questione della velocità di variazione del livello del mare è piuttosto controversa: se da un lato molti autori sono propensi a scommettere su un forte aumento della velocità di variazione del livello del mare nei prossimi decenni, altri sono piuttosto scettici e propendono per un aumento del livello del mare piuttosto modesto. Le due linee di pensiero si rifanno, in linea di massima, a due modi differenti di stimare le variazioni del livello del mare: da una parte troviamo i fautori della modellazione semi-empirica, dall’altra i fautori dei modelli globali che stimano l’evoluzione dei fattori fisici che contribuiscono alla variazione del livello del mare nel futuro.

 

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Il livello del mare crescerà molto più del previsto (peggio di quanto pensassimo)!

Qualche settimana fa, qui su CM, sono stati pubblicati due post (qui e qui) in cui si commentavano le conclusioni di due articoli che analizzavano l’andamento del livello del mare (regionale nel primo caso e globale nel secondo). Di recente sono stati pubblicati altri due articoli:

 

 

Entrambi gli articoli analizzano il trend di aumento del livello medio del mare negli anni futuri.

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Il livello del mare non cresce così rapidamente come previsto (quello medio globale, però)!

di Donato Barone

Solo pochi giorni  or sono ho scritto un post (pubblicato qui su CM il 24/12/2012) in cui si parlava di hot spot in cui il livello del mare cresce in modo più veloce di quanto previsto dai modelli matematici. Nel post si chiariva, però, che in altre zone dell’oceano il livello del mare cresce meno rapidamente del previsto. In modo piuttosto sbrigativo, pertanto, si potrebbe dedurre che mediamente la velocità con cui aumenta il livello del mare non ha subito né aumenti né diminuzioni. Questa conclusione, poco rigorosa e poco logica, però, sarebbe sensata: è la stessa a cui, applicando metodi di indagine molto più rigorosi, sono giunti J. M. Gregory et al. nel loro articolo pubblicato da AMS Journals Online:

Twentieth-century global-mean sea-level rise: is the whole greater than the sum of the parts?

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Il livello del mare cresce più rapidamente di quanto previsto (solo in qualche punto, però)!

di Donato Barone

Su Nature Climate Change è stato pubblicato, qualche mese fa, un interessante articolo a firma di A. H. Sallenger et al.

Hotspot of accelerated sea-level rise on the Atlantic coast of North America

L’articolo illustra uno studio basato sui dati di diversi mareografi ubicati sulla costa atlantica degli Stati Uniti a nord di Cape Hatteras e si propone di dimostrare che la velocità di variazione del livello medio del mare è diversa da zona a zona.

Gli autori, allo scopo di eliminare il rumore tipico delle serie di dati in loro possesso, non hanno applicato gli usuali algoritmi di filtraggio dei segnali a bassa frequenza, ma hanno utilizzato degli algoritmi di analisi statistica che sono in grado di correggere le anomalie ad essi associate. Ai dati così trattati hanno applicato dei modelli di analisi di regressione e, quindi, hanno calcolato il diagramma delle variazioni del livello del mare (misurato rispetto ad una superficie di riferimento) in funzione del tempo espresso in anni. In tal modo essi hanno calcolato la velocità di variazione del livello del mare relativa ai vari mareografi presi in esame. I metodi piuttosto innovativi utilizzati per il trattamento dei dati grezzi sono stati testati con altre metodologie ottenendo valori che si discostano da quelli ottenuti entro una fascia di ampiezza pari a +/- 10%.

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