Internet 2.0. I social network. Le discussioni incrociate sui blog. Lo scambio delle informazioni. Questi sono i nostri tempi. Tempi in cui quando nevica a Roma il 99% dei romani invece di uscire a godersi la neve corre ad aggiornare la bacheca di Facebook. Per carità, non tutto passa attraverso video e tastiera, siano essi di un PC, di un palmare o di un semplice cellulare. Non tutto ma molto. E la discussione sul clima, naturalmente, non fa eccezione. Anzi, a ben vedere senza l’esplosione della comunicazione globale il dibattito non si sarebbe mai aperto, vista la blindatura che il mainstream scientifico ha costruito sulle riviste scientifiche tradizionali.
I media generalisti, quindi, pur avendo ancora un ruolo primario nella diffusione delle notizie se non vogliono perdere ulteriore terreno non possono esimersi dall’entrare nel merito, ma lo fanno inevitabilmente secondo i canoni appunto tradizionali. Bianco o nero, buoni e cattivi, vero o falso, in una ridda continua di prese di posizione e di supporto alla posizione di quello che hanno compreso essere il mainstream.
Nel frattempo però il dibattito continua, ed ecco che qualcuno si chiede se questa forma di comunicazione, che ha dato la possibilità di rendere pubbliche le macroscopiche incertezze che minano quella che alcuni si ostinano a definire una conoscenza scientifica ‘settled’, non sia in qualche modo scomoda o addirittura dannosa.