“Il maggio più freddo dal 1991” titola il “Corriere della Sera” cercando di far notizia. Notizia che non dovrebbe esserci visto che ormai anche alle elementari si dice che il clima si calcola su almeno 30 anni. Si prevedeva che le precipitazioni per il “global warming” dovevano aumentare d’intensità e diminuire nei valori cumulati, tropicalizzazione e desertificazione erano i termini giornalistici per descrivere i due fenomeni. Ora che invece sono aumentate le cumulate, la colpa non è più del “global warming” ma del “climate change”?
Per chiarezza diciamo che a livello di cambiamento climatico globale la rara primavera di quest’anno non significa nulla come non avrebbero dovuto significar nulla le ondate di calore dello scorso anno. Ma ormai l’informazione è un prodotto, e allora sotto con la prossima catastrofe per richiamare il lettore. La prossima è “Europa sott’acqua”, il Danubio rischia di esondare catastroficamente a causa di una primavera pazza. Molti penseranno: certo che la concentrazione di CO2 a 400 ppm ne sta creando di problemi, come saranno stati belli i periodi in cui l’industrializzazione non aveva rovinato il clima, periodi in cui la frequenza di tali fenomeni era minore dell’attuale.
Ma sarà proprio così? nel rispetto di quanti stanno subendo la tragicità degli eventi di questi giorni, vale forse la pena cercare di capire se questi sono effettivamente ascrivibili a “fatti nuovi” o piuttosto se siano evenienze con cui purtroppo si è in alcuni casi destinati a convivere. Sulla rivista History of Meteorology è stato pubblicato nel 2005 un articolo molto interessante dal titolo:
The Danube Floods and Their Human Response and Perception – (14th to 17th C)
Il pezzo, ponendosi l’obbiettivo di indagare proprio il carattere, la frequenza di occorrenza e la gravità degli eventi di piena del Danubio nei secoli per i quali non sono disponibili informazioni oggettive, ovvero misurazioni attendibili, conduce un’analisi anche sociologica della percezione di questi eventi, in particolare per quella che viene definita la piena del millennio occorsa nel 1501. Quel che ne risulta, è che diversamente da quanto riscontrato per altro genere di eventi catastrofici, per gli eventi alluvionali non si riscontrano nei documenti storici spiegazioni di carattere religioso, in qualche modo quindi ascrivibili al soprannaturale, quanto piuttosto un atteggiamento di consapevolezza e di inevitabile adattamento a questi eventi, che dunque – come del resto conferma anche la storia recente – dovevano avere tanto una frequenza piuttosto elevata, quanto conseguenze anche ben più gravi di quelle di questi giorni.